Dopo il referendum servono correttivi radicali

La vittoria del Sì al referendum costituzionale, per le proporzioni del risultato e la sua omogeneità su tutto il territorio nazionale, impone una serie di riflessioni di contesto e di possibile riforma. La campagna sul taglio dei costi della politica viene da lontano e ha pervaso nel tempo in maniera trasversale quasi tutte le forze politiche e larghi strati della società italiana. Si è sempre più connotata per un attacco verso le istituzioni democratiche colpevoli di non essere vicine alle istanze del popolo. Ma come abbiamo provato a dire in questa difficile campagna referendaria, il taglio dei parlamentari non risolve i problemi strutturali della nostra democrazia, al contrario rischia di peggiorarli riducendone gli spazi e allontanando ancora di più il “Palazzo” dai cittadini.

Superata la “sbornia” del voto è necessario ripensare strumenti che riconsegnino al cittadino il potere di scelta sugli eletti e il pieno esercizio dell’iniziativa legislativa e referendaria. A partire dalla legge elettorale bisogna superare il sistema delle liste bloccate, che ci portiamo dietro da più di quindici anni e che è tra i principali responsabili dell’allontanamento dei cittadini dalla politica. Come dice il professore Michele Ainis in un recente articolo pubblicato da La Repubblica, due sono i modelli: le preferenze per quanto riguarda il proporzionale oppure i collegi uninominali nel sistema maggioritario. Come Radicali siamo per il sistema maggioritario uninominale: infatti continuiamo a pensare che questo sia il modello che unisce la rappresentanza ai cittadini ed evita lo scandalo del voto di scambio legato alle preferenze del sistema proporzionale.

Ma non solo. Bisogna lavorare per dare piena effettività all’esercizio del diritto di promuovere referendum, corrispondendo al pronunciamento del Comitato per i Diritti Umani dell’Onu che, in risposta a una istanza presentata da Mario Staderini e Michele Di Lucia, al tempo segretario e tesoriere di Radicali Italiani, ha intimato all’Italia di promuovere correzioni sulla legge riguardante la platea degli autenticatori in quanto irragionevole e discriminatoria. Su questo argomento, così importante per la partecipazione popolare, era già stato approvato alla Camera un emendamento a prima firma di Riccardo Magi e che attende il passaggio al Senato. L’altro fronte sul quale intervenire è l’abolizione del quorum, come suggerito dalla Commissione di Venezia nel Codice di buona condotta sui referendum, in quanto assimila gli elettori che si astengono a quelli che votano No. L’alta partecipazione ai referendum costituzionali dimostra che pur in assenza di quorum, come previsto per i referendum costituzionali, la partecipazione supera abbondantemente il 50 % degli elettori.

In ultimo la questione delle leggi di iniziativa popolare. Sono sette anni che è stata depositata la legge sull’eutanasia legale, ma il parlamento ancora tarda a inserirla nel calendario dei lavori. Lo stesso accade con le leggi di iniziativa popolare Legalizziamo e Ero straniero che riguardano la legalizzazione della cannabis e la regolamentazione dei flussi migratori. Tutti temi all’ordine del giorno della società italiana, molto meno del Parlamento. Questi ritardi sono dovuti a regolamenti parlamentari che non individuano tempi certi per la discussione delle iniziative popolari. Proposte sottoscritte da centinaia di migliaia di cittadini attendono che il Parlamento ne discuta. Questa è l’agenda che offriamo al Governo e che le forze parlamentari dovrebbero fare propria, per far sì che il taglio dei parlamentari non si trasformi in un ulteriore svuotamento della democrazia parlamentare e, al contempo, rafforzi i diritti politici di tutti i cittadini.