Quando avevo sei anni, il padre di mia madre mi veniva a prendere per stare un po’ con me e mi portava con lui in giro per le osterie di Testaccio (quartiere di Roma) dove abitavo. Mi ricordo le partite a carte che faceva e, purtroppo, anche le liti che erano molto frequenti; così imparai precocemente due cose: giocare il tressette, la briscola, lo scopone e a ragionare prima di buttare una carta. Ho così sviluppato una ottima memoria fotografica, a fare i conti rapidamente, ma, soprattutto, che il gioco non è divertimento, ma un impegno durissimo, per sostenere il quale non devi essere alterato o “cotto” dal vino. Un’altra cosa fu la mia repulsione per il gioco delle carte; molto spesso, nella mia vita sono stato sfidato e, naturalmente, mi sono sempre ritornati in mente gli insegnamenti di mio nonno.

Questo lungo “excursus vitae” porta alle vicende che stiamo vivendo e che mostrano cose vergognose, come le false notizie che aleggiano su Gaza e la sua popolazione di “disperati”. Una domanda e una constatazione: dove vanno a finire tutti i soldi e i lingotti d’oro che la comunità mondiale versa ai soli palestinesi, mentre gli altri popoli “oppressi” non meritano neanche una citazione? A prima vista le immagini trasmesse in mondovisione mostrano bambini ben nutriti in fila per il “pane”. La risposta è semplice, ma non si può dare in televisione, né tanto meno sui giornali: Hamas sequestra tutto e le vedove dei suoi capi morti sono diventate ricche ereditiere. Questo scenario può essere sostenuto solo da chi ha sufficiente “pelo sullo stomaco”. Abbiamo parlato delle cose accadute fin qui in “quasi” due anni di guerra e, guarda un po’, dobbiamo aprire un “focus” proprio su quel “quasi”.

Contro il mondo, contro metà del suo paese, contro il capo di Stato Maggiore, contro la parte più moderata del governo, Netanyahu ha preso la decisione di estendere il controllo sul 100% della Striscia. Immediatamente tutti i paesi hanno reagito con azioni scomposte e dannose soprattutto per i paesi stessi; chi più chi meno hanno espresso un dissenso globale. L’unico paese che è arrivato alle pagliacciate però è stato il nostro dove un ben individuato gruppo di parlamentari dell’opposizione a mo’ di presepe vivente ha composto una bandiera palestinese “vivente” in Parlamento. Il premier israeliano è andato avanti lo stesso ponendo dei paletti, che tutti si rifiutano di vedere e allora tiro fuori di nuovo le mie reminiscenze da osteria, esaminando questi paletti.

Netanyahu non ha parlato di occupazione (tutti i “preoccupati” occidentali invece si), ma di “controllo”; ha scelto di “spostare” in campi attrezzati la popolazione di Gaza city e questo è stato tradotto in “deportazione”, il cui significato, se i dizionari non mentono, è quello di estirpare un popolo dalla sua terra (e non è questo il caso); ha fissato la data della prevista conclusione delle operazioni al 7 ottobre, cioè il secondo anniversario del pogrom. “Controllo” e non “occupazione” vuol dire svuotare di significato l’abusata parola “genocidio”; spostare all’interno del proprio paese i gazawi non vuol dire “deportazione”, ma salvaguardia; fissare la “fine” il 7 di ottobre vuol dire ricordare a tutti come è cominciato questo inferno.

A questo va aggiunto che Israele ha chiesto, per la prima volta e in un contesto così negativo, di discutere al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la situazione, in particolare degli ostaggi. Questa convocazione è ben diversa da quelle invocate dagli altri paesi, che si rivolgono all’ONU sapendo di avere protezione o per denunciare situazioni al limite del ridicolo. Il grande giocatore di carte non ha preso una decisione, ma ha lanciato il guanto di sfida, novello Fieramosca della disfida di Barletta. Quest’ultimo paragone dimostra che anche in Puglia una volta c’era la dignità che oggi è morta con la consegna delle chiavi della città a chi rappresenta una situazione inesistente, dimenticando prima di tutto la storia.

Marco Del Monte

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