Primo Maggio, riflettori sui vecchi e nuovi bisogni
Ecco come ridare dignità nel lavoro
Sandro Pertini diceva che il popolo italiano è un popolo generoso, laborioso, che chiede soltanto lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Non chiede il Paradiso in terra, chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo. Epperò la dignità del lavoro, dalle nostre parti, è ancora lontana. Ecco perché il Primo Maggio è una giornata straordinariamente significativa, ma non è una festa. E non lo è non soltanto perché in pochi mesi il mondo, diventato più sofferente, è cambiato due volte: per la pandemia e per la guerra.
Non lo è per chi non ha lavoro e per chi rischia di perderlo; perché la precarietà è dilagante; per i 3 milioni di NEET e i 7 milioni di lavoratori in attesa del rinnovo dei contratti. Su 24 milioni di contratti depositati all’Inps dal 2018, 20 milioni sono a tempo terminato o precari e quasi la metà di questi durano da un giorno a un mese; e il rischio di morte sul lavoro, tra i lavoratori precari e irregolari, è ben 4 volte superiore a quello dei lavoratori stabili. Numeri dietro cui ci sono persone, principalmente giovani, che non riescono a progettare la propria vita o a costruire il proprio futuro, penalizzati da insicurezza e da un ascensore sociale paralizzato.
Però il Primo Maggio rappresenta un’occasione preziosa per accendere i riflettori su vecchi e nuovi bisogni, in una società dilaniata dalle disuguaglianze e la cui soglia dei diritti è regredita. Possiamo e dobbiamo insieme rivendicare scelte coraggiose urgenti e con lo sguardo oltre la scadenza elettorale. Bisognerà ridisegnare il Paese indicando un nuovo modello di sviluppo imperniato sulle persone e sulla sostenibilità sociale, dentro un ambito europeo più coeso e solidale.
Si riparta dal lavoro. Mutuiamo l’accordo spagnolo tra Governo e parti sociali per ridurre al minimo la precarietà. Facciamo coincidere il salario minimo con i minimi contrattuali. Impostiamo al meglio la sfida della transizione, governandola e creando buona occupazione. Investiamo di più in formazione e aumentiamo le ispezioni nelle aziende. Utilizziamo la leva fiscale, tagliamo il costo del lavoro. Inaspriamo l’extra-tassa sugli extraprofitti e la tassazione sulle transazioni finanziarie, per redistribuire. Si è autenticamente riformisti se si è in grado di aggiornarsi connettendosi ai cambiamenti della collettività, estendendo il terreno dei diritti. Questa è la sfida che ci aspetta.
© Riproduzione riservata




