Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sull’elezioni diretta dei Presidenti di Provincia. È giusto o no superare l’attuale norma in materia? Favorevole il senatore di Fdi, Marco Silvestroni. Contraria la senatrice di Italia Viva, Silvia Fregolent.

Qui il commento di Silvia Fregolent:

Prima di addentrarmi nell’analisi dettagliata della controriforma che vuole riportare anacronisticamente in vita le province in Italia, debbo dire che ho cominciato la mia attività istituzionale come Consigliere provinciale. Sono stata Presidente di un gruppo consiliare nella Provincia della mia città e pertanto sono profondamente consapevole che questi enti di area vasta hanno rappresentato per molti una importante scuola politica; una palestra che ha consentito ai giovani animati da impegno civico di indirizzare le loro energie su quelli che sono stati, comunque, nel bene o nel male enti importanti, anche densi, nella loro storia, di competenze e capacità operative.

Detto questo bisogna anche dire che nel corso degli anni, il proliferare di nuove Province, spesso prive di un reale ed ampio, bisognerebbe dire “vasto”, valore territoriale, hanno snaturato il ruolo che per molto tempo questi enti avevano incarnato. Così, se da un lato si avevano enti Provincia che rappresentavano centinaia di comuni e territori importanti con fondamentali economici e prodotti interni lordi degni di un piccolo Stato, dall’altro c’erano province che di vasto avevano ben poco e che anzi rappresentavano qualche piccolo comune e faticavano ad avere una rappresentatività e una funzione che fosse di poco maggiore di quella di costituire un rifugio sicuro e una poltrona per i suoi organi politici.

L’occasione di una riforma che potesse ridare ruolo e prestigio alle province si è avuta durante il governo Monti: la gravissima crisi economica e finanziaria poteva portare e avrebbe dovuto portare, ad un accorpamento e riduzione del numero delle Province sul territorio nazionale e alla riconquista di un ruolo sempre più compromesso, soprattutto agli occhi dei cittadini. Purtroppo così non è stato, quell’occasione si perse e il destino di questi enti fu segnato e lo fu, non tanto e non solo per la legge Del Rio che arrivò nel 2014, ma perché il ruolo delle Province era ormai compromesso e la loro sopravvivenza fuori dall’interesse dei cittadini.

È evidente che la legge Delrio derivava e traeva spunto dalla riforma costituzionale che poi non entrò in vigore, si pensava ad una ridefinizione dell’intero assetto istituzionale, dell’inizio di una fase nuova costituente, di una rivoluzione epocale. Non si era mai pensato, in quella circostanza, di cancellare un ente, si trattava di riformare un Paese; non si trattava solo di contenere posti e costi, ma di dare un nuovo slancio e una nuova energia sistemica e istituzionale all’Italia. Da allora, però di acqua sotto i ponti ne è passata, le Regioni hanno acquisito nuove competenze, alle Province sono rimasti compiti minimali e più che degni di enti di secondo livello e di volerle riportare in vita, in questo momento, non si sente davvero il bisogno.

Quello di cui ci sarebbe bisogno non è la ricostruzione delle poltrone perdute, ma di un progetto di ampio respiro che andasse a rivedere nel suo complesso il Titolo V della Costituzione, che ha mostrato i suoi limiti fin dalla sua approvazione e che durante la pandemia ha dimostrato inadeguatezza legislativa e funzionale.

D’altra parte la dimostrazione che la rappresentanza dei piccoli comuni ad esempio montani o delle aree interne non interessa a nessuno, sta nel sistema elettorale scelto, che, nella proposta di legge della maggioranza, prevede sia i collegi che le preferenze, un sistema che è funzionale solo a sistemare amici e amministratori, solo a creare posti e stipendi che resteranno vuoti di contenuti e di valenza esterna. Non so se questa “riesumazione ex legis” passerà, ma sono certa che non costituirà una riforma di particolare interesse per le persone comuni, ma darà soltanto, questo certamente, la rappresentazione di una classe dirigente antiquata, riversata su sé stessa e priva una visione d’insieme.

Silvia Fregolent

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