È lo stesso pugno duro, forse perfino più violento, adottato nel paese per la lotta alla droga. Rodrigo Duterte, presidente delle Filippine, ha esortato la polizia a sparare ai violatori del lockdown imposto per contenere il contagio da coronavirus.
“Il mio ordine alla polizia e ai militari … se c’è qualche problema e i violatori dovessero reagire e le vostre vite dovessero essere in pericolo, sparateli a morte”, ha detto il presidente in un messaggio televisivo citato da Channel News Asia. “È chiaro? Sparateli a morte. Piuttosto che farvi causare problemi, io vi seppellirò”.
La dichiarazione, violenta e controversa di Duterte, è arrivata in seguito all’arresto di 21 persone a Quezon City, sull’isola di Luzon, la stessa sulla quale si trova la capitale Manila. Secondo il Guardian la gente era scesa in strada per chiedere aiuto al governo per la crisi provocata dall’epidemia. La manifestazione non era stata autorizzata secondo la polizia e alcune persone erano probabilmente in cerca di cibo.
L’emergenza nelle Filippine, secondo quanto riportano i dati della John Hopkins University, è a 2.311 contagiati e 96 morti. “La situazione sta peggiorando – ha spiegato Duterte – Quindi ancora una volta vi dico che il problema è serio e dovete ascoltare le indicazioni del governo”. Il presidente ha aggiunto che “anche se in ritardo, l’assistenza del governo arriverà e nessuno morirà di fame”.
Duterte, ex sindaco di Davao, sull’isola di Mindanao, è stato molto criticato per la sua gestione della sicurezza e dell’ordine. Particolarmente violenta la strategia adottata, dall’inizio del suo governo nel giugno 2016, nella lotta alla droga. Migliaia di persone, anche se solo sospettate di vendere o fare uso di sostanze stupefacenti, sono state uccise, e molte di più incarcerate. Secondo i dati della Polizia Nazionale Filippina al giugno 2019 erano oltre seimila gli omicidi e 280mila gli arresti a causa della guerra alla droga di Duterte, che è stato soprannominato the punisher, il castigatore.
