Fuga di notizie, tutte le balle di Pignatone

1. In un recente editoriale pubblicato sul quotidiano la Stampa, il dott. Pignatone affronta la questione della fuga di notizie nel processo penale sostenendo che: – la pubblicazione di atti e informazioni da qualificarsi segreti ai sensi del codice penale riguarda un numero minimo di casi; – in questi pochi casi spesso vengono qualificate come fughe di notizie situazioni che in realtà non lo sono; – la rivelazione che precede la pubblicazione di atti segreti è un reato grave che ogni volta diventa oggetto di indagine; – è estremamente difficile individuarne gli autori perché ampio è il numero dei soggetti a conoscenza del segreto e in ogni caso il giornalista ha la possibilità di non rilevare la fonte. Si tratta di affermazioni che seppur ispirate a un tentativo di ridimensionamento del problema si pongono in contrasto con le spinose situazioni che emergono nella nostra realtà processuale.

2. Non è vero che le fughe di notizie riguardano un numero limitato di casi. A partire da calciopoli del 2006, quando l’Espresso pubblicò il famoso “libro nero”, si sono moltiplicati i casi in cui atti e notizie secretati sono stati interamente pubblicati dagli organi di stampa. Tra i più eclatanti, basta ricordare: la diffusione dell’audio Berlusconi-Saccà nell’indagine sulla compravendita di voti a Napoli; l’intercettazione Fassino-Consorte nell’inchiesta Unipol; la diffusione delle telefonate Adinolfi-Renzi nell’inchiesta sulla CPL Concordia; la diffusione degli interrogatori nell’inchiesta Consip; la diffusione delle intercettazioni nell’inchiesta perugina sul CSM; la recente indagine sulla fondazione Open di Matteo Renzi. E gli esempi potrebbero tranquillamente continuare.

3. Non è vero che vengono qualificate come fughe di notizie situazioni che in realtà non lo sono. Quando i giornali pubblicano atti riservati, la fuga di notizie deve considerarsi “conclamata” e non “asserita”. Questo è quello che ad esempio è avvenuto nella recente vicenda della fondazione Open, posto che i principali quotidiani nazionali hanno pubblicato atti coperti dal segreto dell’inchiesta condotta dalla Procura di Firenze (si pensi ad esempio ai conti correnti, alle missive riservate, ai nominativi dei soggetti terzi da perquisire ) . Intervenendo sulla specifica questione il prof. Cassese ha autorevolmente affermato che: «Noi abbiamo una norma della Costituzione che dice che l’accusa va comunicata riservatamente al destinatario. È questa pubblicità che preoccupa soprattutto perché tra gli indagati il 75% risulta poi innocente. Invece nel caso di cui parliamo nessuno era indagato, eppure stanno subendo tutti un processo mediatico durissimo e ingiusto».

4. Non è vero che le notizie riservate sono a disposizione di un numero ampio di soggetti. In realtà la cerchia dei soggetti a conoscenza del segreto investigativo, soprattutto nella prima fase delle indagini, deve ritenersi limitata ai pubblici ministeri titolari delle indagini e agli ufficiali della polizia giudiziaria che hanno redatto l’informativa. Dunque una cerchia ristretta e facilmente individuabile di persone. Ciò si evince anche dalla lettura della sentenza n. 229 del 2018 della Corte Costituzionale, che annullando la norma che prevedeva la comunicazione di notizie riservate ai vertici di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, ha altresì precisato che: «nell’attuale sistema del codice di rito, il segreto investigativo deve assistere gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari… impedendo che sia conosciuto il contenuto di un atto d’indagine, il segreto investigativo, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 420 e n. 59 del 1995), si appalesa strumentale al più efficace esercizio dell’azione penale, al fine di scongiurare ogni possibile pregiudizio alle indagini». Vale la pena ricordare che nell’agosto del 2016 in concomitanza con l’entrata in vigore di questa norma, tanti magistrati, tra cui i capi delle più importanti procure italiane, avevano duramente protestato temendo che, in questo modo, potesse allargarsi la ristretta cerchia dei soggetti a conoscenza di indagini riservate. Oggi, che i giornali pubblicano quasi in tempo reale notizie riservate di inchieste in corso, si ode solo un silenzio assordante.

5. Non è vero che le indagini sulla responsabilità penale della fuga di notizie sono estremamente difficili. In realtà le indagini non sortiscono alcun esito perché a prescindere dalla possibilità riconosciuta al giornalista di avvalersi della facoltà di non rilevare la fonte: – esiste uno stretto collegamento tra giornalisti ed inquirenti, in virtù del quale a pubblicare gli atti sono sempre quei giornalisti con i quali gli inquirenti stessi hanno instaurato un rapporto fiduciario e che comunque vengono ritenuti affidabili dal punto di vista della credibilità personale e della testata che rappresentano; – nella normalità dei casi, gli accertamenti vengono svolti dalla stessa Procura della Repubblica presso cui si è verificata la fuga di notizie, con il paradossale effetto per cui i pubblici ministeri sono chiamati ad indagare su loro stessi o peggio ancora sugli ufficiali di polizia giudiziaria a con i quali normalmente lavorano, salvi i casi in cui non scatta la competenza prevista dall’art. 11 del codice di procedura penale. Sul punto, il dott. Gratteri, in una recente intervista al quotidiano La Verità, afferma con molto coraggio che: «ci sono troppi mostri sbattuti in prima pagina per un cattivo rapporto tra magistrati e giornalisti. Abbiamo bisogno di giornalisti che raccontano il lavoro del magistrato, perché la criminalità si combatte anche informando con onestà l’opinione pubblica in modo che si rafforzi una coscienza civile. Ma i giornalisti non devono fare i piacioni vantando rapporti privilegiati con questa o quella toga, non devono innamorarsi dei pubblici ministeri: il giornalismo che fa il copia e incolla delle ordinanze della magistratura, passando le ore nelle sale di attesa, rende un pessimo servizio alle due professioni e al paese nel suo complesso». È bene precisare che il giornalista che riceve e pubblica una notizia riservata non fa altro che esercitare il suo mestiere, come affermato nel giugno del 2007 dalla Corte dei diritti dell’uomo, nel caso Dupuis, che ha definito la stampa il cane da guardia della democrazia. Ciò anche in considerazione del fatto che il reato di rivelazione di segreto di ufficio è un reato del pubblico uffi ciale e il giornalista ne risponde solamente, in concorso, se ha istigato o determinato lo stesso pubblico ufficiale a commetterlo.

6. A prescindere dalla specifica individuazione della responsabilità penale, deve però osservarsi che nella materia in questione il nostro ordinamento prevede a carico del Procuratore della Repubblica una serie di obblighi derivanti: – dall’art. 111 della Costituzione che stabilisce che nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia nel più breve tempo possibile informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; – dall’art. l, secondo comma, del d.lvo 106/06 a mente del quale il procuratore della Repubblica è tenuto ad assicurare il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale, nonché il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo uffi cio; – dall’art. 89 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, norma introdotta dalla riforma Orlando per disciplinare la segretezza delle intercettazioni, la cui entrata in vigore originariamente prevista per il 1° gennaio 2020 è subordinata all’accordo tra il PD ed il M5S, che stabilisce: «l’archivio è gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del procuratore della Repubblica, con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione custodita. Il procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito». Si tratta di norme che introducono un principio di carattere generale, attribuendo la titolarità della gestione degli atti e delle notizie riservate al procuratore della Repubblica e la cui inosservanza da parte di quest’ultimo può essere fonte di una diversa forma di responsabilità sotto il profi lo civile, disciplinare e amministrativo. Profilo quest’ultimo rimesso alla valutazione del Consiglio Superiore della Magistratura a cui spetta il compito, attraverso l’attività della prima e della quinta commissione, di verificare se l’osservanza di tali obblighi sia stata effettivamente rispettata da parte del dirigente dell’ufficio.