Forse siamo arrivati all’ultimo atto della guerra a Gaza scatenata da Hamas il 7 Ottobre 2023. 130.000 soldati riservisti sono stati richiamati e nella notte tra lunedì e martedì Israele ha attaccato con decisione la parte di Gaza city ancora nelle mani di quello che resta di Hamas. Tre delle cinque divisioni di fanteria coinvolte e decine di carri armati hanno avviato una ampia operazione terrestre e avanzano nel cuore di Gaza distruggendo le infrastrutture dei terroristi sperando di riuscire a salvare i pochi ostaggi israeliani rimasti ancora vivi.
La resa di Hamas
È un attacco pesantissimo ed è chiara la volontà di farla finita una volta per tutte e costringere alla resa Hamas. Già quattro alti funzionari di Hamas due giorni fa hanno chiesto a Israele un salvacondotto per lasciare Gaza, che ovviamente è stato rifiutato da Israele in quanto trattasi di iniziative personali. Il Segretario di Stato americano Rubio, in visita ufficiale in Israele, ha dato sicuramente il via libera a Israele a compiere questa operazione, fiducioso che forse questa è la volta buona per piegare la resistenza di Hamas, dopo che quest’ultima ha di fatto rigettato la recente proposta di tregua dell’amministrazione Trump. È un campo di battaglia difficilissimo, quasi impossibile, vista la densità della popolazione e la volontà cinica e spietata di Hamas di non voler fare allontanare i Gazawi dal teatro di guerra.
Scudi umani
Israele, instancabilmente, distribuisce viveri e “linee d’acqua” e chiede insistentemente tramite volantini, telefonate personali e whatsapp di lasciare Gaza city attraverso la via Al-Rashid in direzione sud. Circa il 40% della popolazione ha lasciato o sta lasciando Gaza city, ma questa operazione di evacuazione viene violentemente osteggiata da Hamas che vuole usare i palestinesi come scudi umani. I terroristi hanno addirittura lanciato messaggi fake diffondendo falsi itinerari di evacuazione alla popolazione palestinese per cercare di bloccare l’esodo dalla città. Da lunedì vengono abbattuti dalle forze di Difesa israeliane le torri e i grattacieli che servono a controllare e opporre resistenza dall’alto. Il comando israeliano ha sempre fatto in modo che i Gazawi potessero sgombrare la zona prima della distruzione dei palazzi. Questa politica umanitaria è attuata sistematicamente dall’esercito israeliano anche a costo di compromettere l’effetto sorpresa delle operazioni, che consente però di salvare migliaia di vite umane. E questo sarebbe il genocidio…
Le parole di Netanyahu
In Europa, ma non solo, non vogliono capire, o forse fanno finta di non capire, che Gaza city è una roccaforte militare, l’ultima, dei terroristi di Hamas, dove si spera di riuscire a salvare qualche ostaggio. L’operazione si svolge nell’ambito della guerra che va avanti da due anni e serve per sconfiggere un nemico spietato, subdolo e cinico che manovra senza tenere minimamente conto delle norme internazionali di guerra. In un contesto del genere “Free Palestine” fa rabbrividire. Nonostante il chiaro sbilanciamento delle cancellerie europee ed extraeuropee a favore del riconoscimento unilaterale della Palestina forse qualche piccolo ripensamento è in corso perché i leader occidentali affermano con sempre più continuità ed insistenza che Hamas debba rilasciare gli ostaggi, disarmarsi e rinunciare al governo di Gaza. E alle minacce di isolamento dal resto del mondo, Netanyahu ha risposto ieri, in conferenza stampa, che lo Stato ebraico creerà un’industria bellica indipendente in grado di resistere a qualunque vincolo internazionale.
Sul campo, Israele mira a raggiungere l’obiettivo di porre fine alla guerra smantellando Hamas: non ha mire territoriali e non ha alcuna intenzione di tornare ad occupare Gaza. Chi lo sostiene sono solo due ministri che contano poco o niente nella conduzione della guerra e le loro dichiarazioni non fanno testo. In Israele la divisione sulla strategia di come cercare di liberare gli ostaggi è forte e a volte violenta ma non c’è divisione nell’opinione pubblica sul giudizio riguardo Hamas; per tutti gli israeliani non ci può essere un dialogo con i terroristi se non quello meramente tattico e temporaneo per ottenere la liberazione degli ostaggi. È una questione di sopravvivenza che non accetta deroghe. Nel frattempo arrivano notizie che Israele ha colpito i depositi di petrolio nel porto di Hodeida in Yemen dopo aver ordinato, come sempre, l’evacuazione della popolazione. Ci si aspetta un ulteriore attacco alle infrastrutture degli Houti da parte dell’IDF.
