Il Sì&No del giorno
Giusta la proposta di castrazione chimica? “No, sono idee contrarie a qualsiasi basilare principio di civiltà”
Nel Sì&No del Riformista, spazio al dibattito sulla proposta di introdurre la castrazione chimica per i colpevoli del reato di stupro. Favorevole il senatore della Lega Andrea Ostellari, che evidenzia come ben 13 paesi europei, tra cui Francia e Germania, abbiano adottato la misura. Contrario l’avvocato Nicola Madia che punta i riflettori sulla funzione rieducativa della pena.
Di seguito il parere di Madia
L’art. 27 della costituzione prevede che le pene non debbano essere contrarie al senso d’umanità. Non soltanto, dunque, è vietata qualsiasi forma di violenza fisica o psicologica nei confronti del condannato, ma addirittura deve essergli assicurata una detenzione in condizioni tali da rispettare la sua dignità di essere umano. Spazi sufficienti per muoversi All’interno delle celle, servizi igienici idonei, accesso ad attività ricreative e risocializzanti in nome della funzione rieducativa della pena ecc. Se queste sono le “caratteristiche costituzionali” della pena, sconvolgono le proposte d’introduzione della castrazione chimica nei confronti dei condannati per delitti sessuali. Si tratta di proposte contrarie a qualsiasi basilare principio di civiltà giuridica e oserei dire morale. Di questo passo, in nome di sempre crescenti pulsioni demagogiche, si arriverà prima o poi a chiedere la legittimazione della tortura e della pena di morte. La tendenza è tanto più preoccupante in quanto coinvolge soggetti non condannati ma solo indagati e, al momento, costituzione alla mano, assistiti dalla presunzione d’innocenza.
Insomma, molti dei cantori della costituzione più bella del mondo, quella che molti ritengono un totem intoccabile, sono gli stessi che invocano riforme che ne mettono in discussione i principi supremi su cui si fonda. Alcune osservazioni finali da avvocato e professore di diritto penale. Siamo tutti pronti a puntare il dito ed emettere condanne sommarie prima e al posto del processo e senza conoscere nulla dei fatti. E questo, salvo quando l’accusa attinga noi stessi o qualche nostro stretto congiunto: a quel punto diventiamo improvvisamente garantisti e censori dei mali provocati dal giustizialismo mediatico e dalla malagiustizia.
Sarebbe meglio pensarci prima ed astenersi da giudizi affrettati, riflettendo con cautela prima di pronunciare sentenza definitive nell’agone mediatico. Spesso il tempo dimostra le nefandezze che questo modo d’agire produce. Anche quando l’accusa è infamante e i ruoli di aguzzino e vittima sembrano chiari, la Costituzione impone il dubbio e l’attesa dei verdetti della magistratura prima di esprimere qualsiasi giudizio.
Se poi accuse gravissime vengono confermate nei tre gradi di giudizio, sempre la Costituzione prescrive sanzioni improntate al senso d’umanità e calibrate per rispettare la dignità della persona, secondo un’ottica di recupero del condannato. Oggi, colla riforma Cartabia, la funzione rieducativa della pena si è arricchita dell’incentivo ad avviare percorsi di riconciliazione tra reo e vittima e tra reo e società. Si chiama giustizia riparativa e, lungi dal puntare all’annientamento della persona, mira, esaltando il dettato costituzionale, a promuovere un dialogo volto, da un lato, a prendere consapevolezza dei propri comportamenti, prodigandosi (sul piano emotivo, psicologico, morale e operativo, più che economico) per lenire le sofferenze provocate e ricucire le lacerazioni inferte al tessuto sociale, dall’altro, a lasciare emergere l’uomo che si cela dietro contegni orrendi. E questo, affinché, non solo le vittime, ma l’intera collettività, prendano coscienza che la società non è popolata da mostri, quanto, piuttosto, da “poveri” uomini (nel senso di miseramente umani e terreni) che commettono errori, anche gravissimo, da cui possono però emendarsi.
Chi non condivide quest’impostazione (ovviamente solo quando capita ad altri, ca va sans dire), invocando castrazione chimica e pene esemplari senza processo, si pone contro il nostro edificio costituzionale e non può contemporaneamente proclamarsi fautore dei valori di legalità costituzionale. Enzo Tortora docet e leggere le struggenti pagine scritte dalla figlia Gaia aiuta a capire!
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