Giustizia non significa pena massima, carcere a vita o legge del taglione

Ancora una volta nei giorni scorsi abbiamo assistito all’ennesimo grido di giustizia questa volta nei confronti dei ragazzini (minori) che, a Napoli, avevano aggredito il rider. Non è la prima volta e non sarà l’ultima!!! È accaduto con il processo nei confronti di Matteo Salvini come nei confronti di Silvio Berlusconi o anche per l’uccisione del giovane Ugo, freddato da un carabiniere fuori servizio. In tutti questi casi e non solo, il litmotive è sempre lo stesso: giustizia!!!

Ma cosa si intende per giustizia? È quel sentimento popolare che inneggia quasi alla legge del taglione o l’applicazione delle Leggi sostanziali e processuali cui si basa il nostro ordinamento!?!? È evidente come in uno stato di diritto, è fondamentale che vengano tutelati i diritti di tutti: sia della vittima che del carnefice. Giustizia non vuol dire massimo della pena vuol dire applicazione corretta delle Leggi in ossequio ai principi cardine dell’ordinamento penale. D’altronde il sistema penale italiano si fonda su un principio cardine cui tutti, sempre, dovremmo far riferimento: la pena ha valore di risocializzazione e di reinserimento sociale del reo. Purtroppo ciò non sempre accade anche e soprattutto per lo smisurato e incomprensibile utilizzo della pena detentiva in carcere.

Le strutture carcerarie sono sature, i detenuti sono spesso abbandonati a sé stessi in luogo insalubri e in condizioni degradanti e disumane. Tali circostanze rendono difficile la risocializzazione del reo che, non solo viene privato della libertà personale, lontano dai propri affetti, ma viene costretto a vivere in un luogo privo di intimità in uno spazio vitale di poco più di 3 mtq. Sul punto svariati sono stati gli interventi del Legislatore sopranazionale con cui si è chiesto all’Italia di rendere più vivibili le carceri e di prevedere maggiori tutele per i detenuti ma in realtà a parere di chi scrive, sarebbe già sufficiente ridurre drasticamente l’utilizzo al carcere in particolare per quanto concerne le misure cautelari. Ridurre drasticamente l’utilizzo della misura cautelare in carcere, per altro prevista come extrema ratio anche dal nostro ordinamento, significherebbe rendere più vivibile le strutture carcerarie, facilitare il lavoro del personale amministrativo e della polizia penitenziaria.

D’altronde le ultime riforme della giustizia tendono evidentemente a questo risultato, con l’introduzione di istituti quali ad esempio la sospensione del procedimento con messa alla prova, o anche con la modifica del tetto massimo di pena (da tre a quattro anni) entro cui poter accedere alle misure alternative. Ebbene, per poter concretamente aspirare al rispetto delle garanzie costituzionali è necessario che gli operatori del diritto, ma anche gli organi di stampa, inizino un percorso di crescita culturale che concretamente applichi sempre quanto previsto dalla carta costituzionale. È necessario che proprio gli organi di stampa, per primi, si muovano in questa direzione evitando che una mera informazione di garanzia si trasformi in sentenza di condanna o che una sentenza di assoluzione passi sotto traccia. Solo con un percorso di pari passo tra gli organi di informazione e gli operatori del diritto potrà essere comprensibile per i cittadini come Giustizia non significhi massimo della pena, carcere a vita o la legge del taglione bensì il rispetto delle norme sostanziali e processuali nel rispetto delle garanzie previste dalla nostra carta costituzionale.