Da un lato ci sono le parole, quelle dei rappresentanti delle istituzioni, quelle dei garantisti a orologeria, quelle di chi parla di carcere senza averci mai messo piede una sola volta. Dall’altro lato ci sono i numeri, che descrivono persone, fatti, situazioni reali, in pratica l’ordinarietà della vita dietro le sbarre. E così, mentre ieri, durante il question time della ministra Cartabia, si è parlato ancora una volta di misure alternative come soluzione al problema mai risolto del sovraffollamento nelle carceri, sul sito del ministero della Giustizia i più recenti resoconti hanno fornito i dati sulle presenze in cella aggiornati a poche settimane fa. Ebbene, da questi dati emerge un trend in aumento della popolazione detenuta, i detenuti cioè continuano ad aumentare nelle celle della Campania come dell’intero Paese.

Ma non si doveva ricorrere al carcere come extrema ratio? Ma la pandemia non ci aveva dimostrato, come se ve ne fosse ulteriore bisogno, che il sovraffollamento in carcere è insostenibile? Ma non era intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo a ricordare che la pena non deve prevedere trattamenti inumani e degradanti arrivando a condannare l’Italia per gli spazi della pena inadeguati eccetera eccetera eccetera? Da noi si continuano ad affrontare alcuni temi sempre a distanza. Il carcere è uno di questi. La distanza diventa poi distacco, indifferenza pubblica, alibi per la politica. I numeri, dicevamo. Al 31 maggio la popolazione detenuta in Italia era di 54.771 persone (a fronte di una capienza di 50.859 posti), in Campania si è raggiunta quota 6.742 detenuti (a fronte di una capienza sulla carta di 6.115 posti che nei fatti sono un po’ di meno visto che ci sono padiglioni non completamente occupati per carenze strutturali o imminenti lavori di manutenzione).

Al 31 maggio 2021 nella nostra regione si contavano 6.554, al 31 maggio del 2020, l’anno della pandemia, 6.404. C’è da dire anche che oltre il 33 per cento della popolazione in carcere è composto da detenuti in attesa di giudizio, e c’è un 30 per cento di detenuti che si trovano in cella a scontare pene di pochi anni per sentenze divenute esecutive dopo anni e anni dai fatti (e questo a causa della lentezza con cui si definiscono i processi, ma è un’altra storia!). L’aumento della popolazione detenuta è cominciato subito dopo la prima ondata della pandemia, come a sottolineare che le misure emergenziali adottate per fronteggiare la diffusione del Covid sono state, di fatto, solo un palliativo senza che vi fosse una reale volontà politica di svuotare le carceri. Ma che giustizia è quella che tiene in cella un presunto innocente? Può dirsi giusta la giustizia del sospetto che considera come presupposto di una misura cautelare detentiva la probabilità che una persona reiteri un reato che non è detto che abbia commesso, visto che esiste nel nostro Paese la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio? Di fronte a questi interrogativi parlano i numeri.

La popolazione detenuta è in crescita, anche in Campania nonostante le condizioni di molti istituti di pena, sia a livello strutturale che sul piano delle forze lavoro in organico, non siano adeguate per la gestione di un sempre maggior numero di reclusi. Poche settimane fa il garante regionale Ciambriello aveva parlato della cella 55bis del padiglione Roma al terzo piano del carcere di Poggioreale: 15 detenuti in 20 metri quadrati, con una sola finestra e un bagno senza doccia. L’associazione Antigone lo ha sottolineato più volte nei suoi report e al termine delle visite nei vari istituti di pena: il sovraffollamento rende le carceri invivibili e con la popolazione detenuta è in aumento anche il tasso di recidiva che racconta di un modello che non funziona.

In due parole: fallimento carcere. Ieri, intanto, la ministra della Giustizia Marta Cartabia, rispondendo al question time a un’interrogazione sul sovraffollamento carcerario presentata da Lucia Annibali, capogruppo in Commissione Giustizia alla Camera di Italia Viva, ha affermato che i decreti legislativi sull’attuazione della delega per il processo penale sono in fase di elaborazione e che si sta lavorando sulla possibilità di pene sostitutive delle pene detentive brevi sino a 4 anni, prevedendo in sostituzione al carcere misure come la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, la pena pecuniaria. Visto che le pene fino a 4 anni riguardano circa il 30 per cento della popolazione carceraria, l’impatto di tali misure «può essere molto significativo».

L’obiettivo, sulla carta, è ridurre il sovraffollamento, e in questa ottica la ministra Cartabia ha fatto anche riferimento, nell’attuazione della delega, all’ampliamento della non punibilità per la particolare tenuità del fatto e della sospensione del procedimento con messa alla prova. Misure che potrebbero sicuramente alleggerire il peso e i drammi della popolazione detenuta, se però vengono messe poi in atto da tutti i giudici. Infine, rispondendo a una sollecitazione contenuta nell’interrogazione, la Cartabia ha anche fatto riferimento alla liberazione anticipata: «Se ne discute per valutare se innalzare la detrazione della pena, in particolare per i due anni di pandemia. In effetti in questi due anni il carcere è stato più duro e afflittivo», ha ammesso.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).