Il fatidico 10 maggio è ormai alle porte, e non sarà una data fortunata per chi aspetta giustizia dal Parlamento e dalla Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo. Una scadenza che forse è sepolta nel dimenticatoio delle forze politiche che devono ancora legiferare al Senato (dopo l’approvazione di una contro-riforma alla Camera), ma è ben presente nell’attenzione dell’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, che ha già lanciato il suo allarme sul Fatto quotidiano. Attenzione, ha gridato, perché se collaboratori e “irriducibili” avranno lo stesso trattamento penitenziario, nessuno farà più il “pentito” e non sapremo la verità sulle stragi. Quale nuova verità dopo i processi, le sentenze e le condanne che ritenevamo definitive? Ma quella sui “mandanti”, ovvio, sulle menti raffinatissime degli uomini in giacca e cravatta che decisero, sulla testa dei boss mafiosi come Totò Riina, la stagione delle stragi. Fantasie? Intanto la bomba politica viene sganciata sulla scadenza di martedì della prossima settimana.

È passato infatti un anno da quando la Consulta, con l’ordinanza numero 97 dell’11 maggio 2021, in luogo di sancire in modo perentorio e definitivo con una sentenza l’incostituzionalità del principio con cui l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario vincola al “pentitismo” la possibilità per i condannati a gravi reati di fruire dei benefici penitenziari, ributtò la palla al Parlamento. Fate voi una nuova legge, avevano detto i giudici della Corte Costituzionale. Una norma che non violi gli articoli 3 e 27 della “Legge delle leggi”. Un briciolo poi di ipocrisia nell’invitare deputati e senatori a interventi legislativi “che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”. Se parliamo di ipocrisia, è perché la Corte Costituzionale retta da Giuliano Amato ha già dato prova di una certa astuzia sulla questione dei referendum, cassando con motivazioni pretestuose proprio quelli sulla cannabis, l’eutanasia e la responsabilità civile dei magistrati, che appassionano la gran parte degli elettori e avrebbero potuto aiutare a garantire il quorum il prossimo 12 giugno.

Anche sull’ergastolo ostativo c’erano tutte le premesse per una sentenza. Ma più che carenza di coraggio, è proprio mancata la volontà politica. O dobbiamo essere noi a ricordare le diverse decisioni della Cedu, fin dalla famosa “sentenza Viola” che tre anni fa aveva condannato l’Italia per il trattamento inumano riservato a un detenuto che non poteva collaborare con la giustizia essendosi sempre dichiarato innocente? E poi, successivamente, i diversi ricorsi dell’Italia sempre respinti in sede europea? E ancora, la stessa decisione della Corte Costituzionale sui permessi premio, che avrebbe potuto aprire le porte a una sentenza anche sulla liberazione condizionale? Scaricare sul Parlamento, su “questo” Parlamento, una decisione così delicata ma irrinunciabile per uno Stato di diritto, è stata una vera porcata. Si, caro Presidente Giuliano Amato, una porcata. E ci piacerebbe sapere se i giudici della Consulta erano tutti d’accordo su questa rinuncia a decidere direttamente. Perché sul fatto che le norme nate nel 1992 da un Parlamento sulla cui pelle ancora bruciavano gli assassinii di Falcone e Borsellino, siano incostituzionali non ci sono dubbi.

Ed è già scandaloso il fatto che ci siano voluti trent’anni per sancirlo. Ma lo è anche il fatto che a maneggiare questioni di principio che hanno a che fare con la presunzione di innocenza e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, siano state destinate le mani di persone come i seguaci di Beppe Grillo che sognano solo di alzare più forche o dei pusillanimi del Pd che pur di continuare a stare al governo (pur non vincendo mai le elezioni) ingoierebbero qualunque cibo ripugnante o nocivo. Infatti il testo di legge approvato a grande maggioranza alla Camera un mese fa è esplicitamente una contro-riforma. E il peggio è che, se sarà confermata al Senato, finirà con l’avere anche il placet della Consulta. Perché comunque, sul piano formale, avrà superato il principio che legava alla sola collaborazione la possibilità per l’ergastolano “ostativo” di accedere ai benefici penitenziari previsti dalla legge. Peccato però che il detenuto non “pentito” avrà sulle spalle uno zaino pieno di tali e tante zavorre a ostacolare la sua possibilità di accedere alla liberazione condizionale, da renderla impossibile. Così coloro che il dottor Scarpinato continua a definire “irriducibili”, ma che sono in gran parte invece detenuti che hanno preferito un percorso diverso ma magari più sincero, e anche riconosciuto da chi nel carcere e nei tribunali di sorveglianza ha seguito il loro cammino, rispetto a quello dei “pentiti”, finiranno per restare sepolti nella “pena di morte da vivi”, come loro chiamano l’ergastolo ostativo.

Può star tranquillo il dottor Scarpinato, e insieme a lui Marco Travaglio e tutti i grillini di primo o secondo conio. Come quel capogruppo di “Alternativa” (filiazione del Movimento cinque stelle) che nell’aula di Montecitorio aveva accusato la Corte Costituzionale di aver fatto, con l’ordinanza di un anno fa, “un vero e proprio favore alle organizzazioni mafiose e terroristiche”. E aveva invitato il Parlamento a ripresentare la norma incostituzionale in segno di sfida. Questo tipo di personaggi siede sugli scranni di istituzioni che dovrebbero essere sacre. Ma succedono cose strane anche all’interno di altro tipo di istituzioni, come quella della magistratura. Così troviamo un ex magistrato come Roberto Scarpinato, che ha rivestito il ruolo prestigiosissimo di procuratore generale di Palermo, che ha rappresentato l’accusa nella disfatta del processo “Trattativa Stato-mafia”, a difendere il diritto alla liberazione condizionale di un assassino come Spatuzza.

Perché è successa una cosa molto particolare. Premettiamo che la collaborazione del boss, arrivata nel 2008 solo dopo che lo stesso era già stato condannato all’ergastolo, ha contribuito non solo a fare arrestare i suoi complici nelle stragi, ma anche a salvare quei sette innocenti arrestati ingiustamente per l’uccisione di Borsellino dopo le accuse del pentito-fantoccio Enzo Scarantino. Nessuno quindi mette in discussione l’importanza della collaborazione del “pentito” Spatuzza, il quale è da tempo ai domiciliari in un luogo segreto. Succede però che anche lui aneli a una vera libertà e ha chiesto la liberazione condizionale. Il tribunale di sorveglianza di Roma ha però stabilito che il percorso del detenuto verso un vero reinserimento nella società non è ancora completato. Non conosciamo le motivazioni del provvedimento, ma sarebbe interessante capire le ragioni che hanno indotto i giudici a respingere la richiesta del “pentito”. Che è comunque stato poi accontentato dalla cassazione, che ha bocciato la precedente decisione. Spatuzza sarà quindi presto libero, buon per lui.

Ma ci preoccupa il fatto che l’ex pg Scarpinato, che mostra di avere particolarmente a cuore i diritti del “pentito” di mafia, abbia così poca fiducia nei giudici di sorveglianza, visto che sono gli unici a conoscere da vicino il detenuto, a verificarne ogni giorno i comportamenti, a saggiare l’autenticità del loro ravvedimento. Del fatto che un ex boss che collabora da 14 anni sia considerato ancora immaturo per essere libero dovrebbe preoccuparsi il dottor Scarpinato, piuttosto che, come invece fa, del timore che “pentiti” e  “irriducibili” siano equiparati nel futuro di uomini liberi. E anche il Parlamento e la Corte Costituzionale dovrebbero un po’ vergognarsi del fatto che, quando il prossimo 10 maggio ingiustizia sarà fatta, proprio sulle spalle dei giudici di sorveglianza cadrà di nuovo il fatto di denunciare nuove contraddizioni e nuove incostituzionalità della norma. Così si ricomincerà da capo. E intanto rimarranno ancora sepolti quelli condannati alla morte da vivi. Mentre una brutta pagina sarà stata scritta una volta di più.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.