Per anni l’opinione pubblica ha riposto nei magistrati una fiducia misurata sopra il 90%. A fronte di partiti, enti, amministrazioni e corpi dello Stato, visti come dominati da logiche estranee all’interesse collettivo, parassitari, immorali, la magistratura era percepita, e fatta percepire, come la principale, se non l’unica delle funzioni pubbliche, indenne e immune dal morbo della corrutela che, secondo la vulgata diffusa dai giornali e nelle piazze, putrefaceva ogni espressione del vivere collettivo in Italia. Il paradigma del tempo era “Capitale corrotta, nazione infetta”, e l’unica salvezza dall’infezione era vista nella magistratura, nella sua azione salvifica.
Oggi, l’indice di fiducia nei magistrati è crollato al 39%, perchè anche nella magistratura si è insinuata e diffusa la stessa cancrena aveva tanto indignato quando era stata mostrata nei partiti, nelle amministrazioni nazionali e locali, negli altri corpi intermedi. Due settimane fa la magistratura organizzata ha proclamato uno sciopero. È chiaro a tutti che lo sciopero dei magistrati non è come lo sciopero dei ferrovieri (categoria storicamente cara al cuore dei socialisti), proprio perchè l’aura di sacralità che promana dalla funzione giudiziaria allontana la categoria da tradizionali strumenti di rivendicazione.
L’Associazione Nazionale Magistrati ha sempre rappresentato i componenti dell’istituzione senza che sulla sua legittimazione potesse sorgere alcun dubbio. Questo fino allo sciopero del 16 maggio. Perchè l’adesione è stata così bassa, meno della metà dei magistrati, da rendere nitidamente evidente lo scollamento tra la giunta dell’ANM e la sua stessa base. Uno scollamento che coincide con la progressiva estraneità di quegli stessi vertici dalla società, e della società da essi, origine del crollo dell’indice di fiducia.
Le prerogative in difesa delle quali i capi dell’ANM (che sono in maggioranza pubblici ministeri, e non giudici) sono insorti, non coinvolgono almeno la metà dei magistrati italiani: il sistema creato nei lustri dai magistrati della stagione delle mani pulite si è rivelato meno pulito di quanto i cittadini, e almeno metà dei magistrati stessi, ritenessero giusto aspettarsi, perchè ha tramutato, solo per un ristretto gruppo di essi, le prerogative in privilegio. Il compito della politica, allora, è chiaro: essa deve, assolutamente deve, trovare un dialogo costruttivo con la larghissima parte della magistratura rimasta estranea ai giochi di potere praticati dalla minoranza organizzata, in carriere e spartizione di incarichi direttivi, con il disgustoso sapore di diseguaglianza dei cittadini davanti alla legge che ne è derivato.
Anche se qualcuno sembra non rendersene conto, la stagione di una politica divisa tra nemici giurati della magistratura e cheerleaders delle Procure, è finita. E sarebbe un errore imperdonabile non lavorare insieme a quei magistrati che, a loro volta e nel loro campo, si sono lasciati alle spalle la stessa stagione. I socialisti, ovvero la comunità politica che più ha sofferto quella stagione, proprio per questo si impegnano e si impegneranno perchè la riforma della giustizia, dell’ordinamento giudiziario e dell’ordinamento penitenziario, sia il frutto del lavoro comune, leale e disinteressato, di magistrati, avvocati, giuristi e politici. Il vento è girato, spieghiamo le vele.
