Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sull’invito, da parte di Marcello Foa, ad un medico no Vax, durante lo spazio della sua trasmissione, in onda su Radio Rai. Abbiamo chiesto se sia stato opportuno o meno invitarlo al filosofo Diego Fusaro, che lo ritiene giusto, e ad Ivan Scalfarotto, senatore Iv, che lo ritiene sbagliato.

Qui di seguito, l’opinione di Diego Fusaro.

Dirò brevemente perché ritengo sia sbagliato opporsi all’invito del dottor Citro alla trasmissione di Radio Rai. Esordisco chiarendo che il mio sarà un argomento di metodo e non di contenuto: non ho alcun titolo per parlare di vaccini, svolgendo io l’attività di filosofo e non di medico. Ho qualche titolo, dunque, per dire perché sia filosoficamente sbagliato negare il diritto di parola a chi sostiene tesi diverse da quelle dominanti, quand’anche fossero false.

Personalmente, nel mio libro “Golpe globale”, non ho mai contestato il “regime terapeutico”, come anche è stato definito, per la questione in sé dei vaccini: ma per l’impianto di norme repressive e oppressive su cui si è fondato. Detto altrimenti, sono anche disposto ad ammettere che il vaccino sia benefico e allunghi la vita: ciò non toglie che sia inammissibile rimuovere i diritti fondamentali a chi, per una ragione o per un’altra, non si sottopone al vaccino.

La questione, come si vede, è politica e non medico-scientifica. Ammettiamo pure, ex hypothesi, che le tesi del dottor Citro siano false. Ebbene – questa la mia posizione – in democrazia egli ha il diritto di dirle senza che nessuno lo censuri. La democrazia potrebbe anche essere intesa come la forma di governo che non sanziona l’errore e la menzogna, reprimendoli con la violenza, come è in uso presso i regimi non democratici: au contraire, la democrazia confuta la menzogna e l’errore con la docile forza del “rendere ragione” e con la prassi comunitaria del dialogo.

Bandire per decreto la possibilità di dire il falso è, in sintesi, un errore sia teoretico, sia politico: teoretico, dacché il falso deve essere confutato con la ragione e non silenziato con la forza (silenziarlo coattivamente sarebbe infatti, paradossalmente, una prova a favore del falso, che indebitamente apparirebbe come impossibile da confutare); politico, giacché la democrazia è la forma di governo in cui, come sapeva Spinoza, vige la libertas philosophandi e, dunque, prevale la docile forza dell’“agire comunicativo” (Habermas) sulla violenza repressiva.

Sicché, per paradossale che possa a tutta prima apparire, in democrazia dovrebbero avere diritto d’espressione anche le tesi false. Sarà, poi, facile confutarle con la docile forza della ragione. In questo modo, si eviterà che per legge, insieme con il diritto di dire il falso, venga eliminato anche il diritto di dire ciò che, non piacendo al potere, verrà egualmente dichiarato falso. È il solo modo per mantenere la circolazione delle idee nella sfera del dialogo e del procedere scientifico per tesi e confutazione, evitando che si trasli nel ben più insidioso piano del vero e del falso sanciti dal potere, con annessa limitazione della libertà di ricerca e di opinione.

Banalmente, il contrario di falsità è verità, non censura. Non dobbiamo obliare che, accanto al fanatismo del complottismo paranoico (che realmente esiste, nella sua pericolosità), v’è anche il fanatismo dell’anticomplottismo paranoico, che, rivelandosi non meno pericoloso, liquida come “complotto” tutto ciò non rientri nella narrazione egemonica: l’esito paradossale è che, condotta al suo grado estremo, la lotta contro il complottismo si rovescia in apologia delle idee dominanti (ossia quelle – ricorderebbe Marx – delle classi dominanti).

Il vero, se è tale, non mette a tacere per legge il falso: al contrario, il vero è tale nella misura in cui, mostrando se stesso, mostra in pari tempo la falsità del falso. Per converso, è il falso che, quando aspira a imporsi come vero, deve coattivamente mettere a tacere il vero, di modo che a quest’ultimo sia impedita la possibilità stessa di manifestarsi. Se, infatti, si esibisse, esibirebbe per ciò stesso la falsità del falso che si proclama ideologicamente vero.

Diego Fusaro (Filosofo IASSP)

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