Da oggi si fa sul serio: ripartono i lavori parlamentari, riparte l’azione di governo, la premier nei fatti saluta e parte davvero. Nel senso che nel mese di settembre Giorgia Meloni vedrà l’ufficio di palazzo Chigi forse per una manciata di giorni: domani, appena terminato il Consiglio dei ministri partirà per Nuova Dheli (un giorno prima del previsto) per la riunione del G20 (non ci sarà il leader cinese Xi), poi Malaga, Budapest, Bruxelles per il Consiglio Europeo, New York. Più o meno tornerà per la presentazione della Nadef il 27 settembre. Per carità, si tratta di impegni internazionali e superiori. Ma ecco che il vertice di maggioranza previsto oggi pomeriggio (ore 18) assume i contorni del discorso della montagna ai discepoli sulla difficoltà del momento, i soldi che non ci sono, la manovra “severa” pregandoli quindi di non fare scherzi.
Una volta trovato l’accordo si va avanti come deciso, senza scossoni, marce indietro o colpi di testa personali in aula o in commissione. I due sottosegretari, Fazzolari per i rapporti con le forze di maggioranza e Mantovano per tenere aperta l’interlocuzione, dove possibile, con le opposizioni è il dream team a tre punte che dovrà guidare la maggioranza fino alla fine dell’anno. Fino all’approvazione della legge di bilancio, la prima “figlia” esclusiva del governo Meloni.
Una navigazione perigliosa e ad alto rischio visto che dal ponte sullo Stretto alle pensioni, dalla flat tax ai condoni fiscali, nessuna o quasi delle bandierine identitarie di questa maggioranza sarà realizzata. Il punto è anche tutte le altre questioni riassumibili in un concetto – come spendere i pochi soldi a disposizione – sono destinate a dividere la maggioranza. A cominciare dall’ultima – si fa per dire – messa sul tavolo con un tempismo che sa di tatticismo e legata al Superbonus 110 e più in generale ai bonus edilizi. I cento miliardi di mancate entrate per lo Stato – tanto costerà la misura stando alle ultime proiezioni – peseranno sul nostro debito per circa venti miliardi l’anno per i prossimi quattro anni. Solo che la storia del Superbonus è anche, da quando Draghi denunciò “la più grande truffa ai danni dello Stato” (dicembre 2021), una storia di dilazioni e proroghe volute un po’ da tutti i partiti per non deludere il largo consenso popolare che la misura ha incontrato.
Per farla breve: l’ipotesi oggi sul tavolo del Mef di restringere la platea dei beneficiari a partire dal 2024 (a fine 2023 in realtà la misura non sarebbe più disponibile ma ci sono sempre i ritardatari) e di riservare il 110 solo ai redditi più bassi, condomini compresi, fa storcere la bocca a molti nella maggioranza. Per ora stanno zitti, nessuno fiata, anzi, l’ordine di scuderia è di attaccare il Superbonus “ennesimo bidone dei 5 Stelle”. “Preparano l’alibi per giustificare la negazione di tutte le loro promesse”, attacca il Pd. Nessuno ricorda che a dicembre scorso, la prima manovra del governo di destra e quando gli effetti nefasti della misura erano già tutti sul tavolo, nessuno dei tre partiti di maggioranza si oppose alle pressioni per allungare il Superbonus. Per non parlare poi dell’immigrazione: il decreto annunciato ai primi di agosto per facilitare le espulsioni degli irregolari non è ancora in calendario, nel frattempo la gestione del dossier è stata centralizzata a palazzo Chigi sulla scrivania di Mantovano. Salvini non è contento. E per tacere del Pnrr e del pagamento delle rate: ancora aspettiamo quella richiesta il 31 dicembre scorso. E del tema risorse: dove il governo farà cassa per trovare i trenta miliardi che sono il minimo necessario per la manovra? O aumenta le tasse o aumenta i tagli. Quindi spending review e cessione di beni. Anche su questo i punti di vista nella maggioranza sono distanti. Soprattutto tra Lega e Forza Italia.
Tutto ciò detto e premesso, il vertice di maggioranza di oggi pomeriggio con tutti i capigruppo di Camera e Senato sarà un successo. In un clima – riferivano ieri fonti di governo – di “grande collaborazione tra governo e maggioranza” oggi i singoli partiti “saranno invitati dalla premier Meloni a ragionare in termini di legislatura, anche sulla legge di bilancio. Non è più necessario fare tutto subito per raccogliere tutto il consenso possibile lasciando sul campo anche macerie economiche e finanziarie come il Superbonus”.
Stamani intanto ci sarà il preconsiglio in vista del Consiglio dei ministri di giovedì. Nell’ordine del giorno, che non sempre esaurisce il menu, ci sono ben due decreti. Il primo è già stato ribattezzato “decreto Sud”, sottotitolo “per il rilancio dell’economia del Mezzogiorno”. La bozza prevede una Zes unica per il Mezzogiorno dal primo gennaio 2024; una cabina di regia per le aree interne; risorse per la riqualificazione di Lampedusa e Linosa (45 milioni), duemila assunzioni nella Pubblica amministrazione delle regioni meridionali. E ben trenta milioni per la “bonifica” di Caivano dove la premier è stata giovedì scorso richiamata dal parroco e dai fatti orribili di stupro e violenze. E dove ieri mattina lo Stato si è presentato all’alba con una maxioperazione che ha portato al sequestro di armi pesanti, munizioni da guerra, migliaia di euro in contanti, droga. Diciamo che nell’ultima settimana da Caivano è già sparito quello che doveva sparire. Però questo ha fatto esultare la maggioranza che ha prodotto a raffica comunicati di elogio per il governo e la premier: “Meloni fa quanto promesso e bonifica Caivano”. Ben vengano le operazioni di pubblica sicurezza. In certi territori ne servirebbero una al mese. Ma per bonificare Caivano occorre ben altro. La premier lo sa e domani porterà un secondo decreto ribattezzato “Caivano” con misure “per il contrasto al disagio giovanile e alla povertà educativa” compresa una stretta “penale” per i genitori che non vigilano sui figli minorenni e la scuola. Trenta milioni oggi per Caivano però fanno a cazzotti con i sei miliardi già destinati dal Pnrr per le periferie e i comuni ma adesso congelati. Anzi, pardon, definanziati.
