La preoccupazione dei mercati
Meloni indugia, Giorgetti frena, Tajani tace: da dilettanti ricattare l’Europa sulla ratifica del Mes
Mancano 30 miliardi per la legge di bilancio e l’Italia è l’unico paese europeo a non aver ancora ratificato il Fondo salva-Stati
Tra le molte fragilità del Governo Meloni spiccano evidentissimi la debolezza e l’isolamento dell’Italia in Europa. All’estero Meloni prova ad accreditarsi come la leader di un movimento di destra “rispettabile” al livello europeo: giusto un anno fa, in un‘importante intervista al settimanale conservatore inglese “The Spectator”, Meloni affermò testualmente che, fosse nata nel Regno Unito e non in Italia, sarebbe stata una Tory. Anche la posizione filo-atlantica e la linea a sostegno dell’Ucraina dovrebbero aiutare a smantellare il sospetto che le principali cancellerie nutrono nei confronti di Meloni a causa delle sue storiche posizioni sovraniste ed euroscettiche, populiste e xenofobe. Il problema è che la Meloni verace, quella che conosciamo da sempre, riemerge di tanto in tanto anche sul palcoscenico internazionale e basta poco perché tutto il lavoro di immagine fatto in questi mesi crolli improvvisamente con effetti negativi non solo sulla collocazione del governo dentro le dinamiche europee ma, ciò che più conta, anche per le conseguenze che questo comporta sul nostro Paese.
Per esemplificare il tutto basti pensare alla mancata ratifica del MES, approvato da tutti i paesi Euro e ancora bloccato dal veto italiano che ne impedisce l’entrata in vigore e quindi la potenziale fruizione da parte di tutti i paesi dell’Eurozona. La ragione per la quale l’Italia non ratifica il MES è una sola e tutti ne sono perfettamente al corrente: si tratta della montagna di disinformazione compiuta da Meloni e soci fino al loro arrivo al governo che oggi dovrebbero (e prima o poi dovranno) smentire, con un effetto disastroso sul piano dell’immagine. Sarebbe uno dei molti dietrofront della maggioranza, ma questo davvero clamoroso. Per questo Meloni indugia, Giorgetti frena, Tajani tace. E come spiegano tutti il traccheggio? Dicendo che la ratifica del MES rientra in una trattativa più ampia, che l’Italia insomma pretende qualcosa in cambio dall’Europa soltanto per mantenere la parola data, e che questa trattativa riguarda soprattutto il Patto di stabilità.
La modifica del Patto è vitale per il nostro Paese. Si tratta di un meccanismo i cui rigidissimi requisiti sono stati sempre evidentemente un problema per l’Italia, soprattutto perché in teoria l’obbligo a cui dovremmo adempiere è quello di ridurre il debito del 5% all’anno, fino a rientrare in un parametro (il 60% del PIL) che è ben meno della metà del 134% della ricchezza nazionale a cui veleggia il nostro debito pubblico. Un problema che la pandemia ha temporaneamente risolto, posto che il Patto di stabilità è sospeso fino all’inizio dell’anno prossimo ma che presto – dal prossimo anno, e non c’è da attendersi una proroga – tornerà in vigore. È qui che entra in gioco il tentativo del nostro governo di utilizzare la ratifica del MES per ottenere condizioni più favorevoli all’Italia. Va detto subito che un cambiamento vero dei parametri richiederebbe una modifica dei trattati, e quindi è assolutamente irrealistico che vi si possa arrivare. E tuttavia è generalmente riconosciuto che il Patto, per com’è strutturato oggi, non funziona: il lavoro che vede protagonista la Commissione in questo momento è dunque quello di modificare le modalità e i percorsi attraverso i quali i Paesi rientrano nei parametri ed è un lavoro molto complicato perché – come al solito – i paesi cosiddetti frugali non hanno alcuna intenzione di mollare la presa.
Semplificando moltissimo, la proposta attuale della Commissione prevede che per il deficit si terrà conto della spesa al netto degli interessi sul debito pubblico, ma che non sarà più possibile scomputare certe spese, per esempio quelle dedicate alla transizione ecologica. Per il rapporto debito/PIL la Commissione prevede che sia stabilito un percorso almeno quadriennale di riduzione del debito durante il quale rispettare taluni parametri tecnici, sempre a proposito di spesa pubblica: o si mantiene il rapporto tra deficit e PIL al 3%, oppure, se la spesa supera questo limite si deve tagliare il proprio debito in misura pari allo 0,5% del PIL (i “frugali” chiedevano l’1%). Poi esiste un ulteriore parametro per cui lo Stato che sfora sul debito non può spendere più di quanto è previsto che cresca a medio termine la ricchezza nazionale.
All’Italia, questa proposta della Commissione crea almeno due problemi molto seri. Il primo è contenuto in una stima di Bank of America, che gira parecchio a Bruxelles e che conferma che il nostro deficit per il 2024 sarà del 3,5%. Se la proposta della Commissione fosse approvata, questo comporterebbe per il nostro Paese una manovra di aggiustamento pari a 9 miliardi: lo 0,5% del PIL, appunto. Il secondo problema è che se la spesa dev’essere parametrata alla crescita, un criterio che ci vede storicamente in affanno, se dovessimo spendere quanto cresceremo secondo il governo nel 2024, il nostro deficit dovrebbe fermarsi all’1% del PIL, ben lontano dal 3%.
Se a bocce ferme, e con il patto di stabilità sospeso, già si calcola che manchino 30 miliardi per fare la legge di bilancio del prossimo anno, si capisce bene quali siano le condizioni nelle quali ci muoviamo e il rischio concreto è, come del resto ha apertamente detto lo stesso Ministro Fitto, che in assenza di un accordo si ritorni semplicemente alle vecchie regole. Gestire il tutto non stabilendo solide relazioni politiche con Bruxelles, Parigi e Berlino, ma ricattando l’Unione sulla ratifica del MES è segno assai allarmante di ingenuità e di dilettantismo.
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