Sto assistendo con soddisfazione ad una positiva evoluzione nel pensiero di Forza Italia sul Mes” basterebbe questo tweet del leghista Claudio Borghi per spiegare la giravolta europea di Forza Italia. Il tentativo di Tajani di portare Fratelli d’Italia sui Popolare europei sarebbe anche apprezzabile, pur di allontanarli dai sovranisti di Vox, ma ad oggi, più che altro, è Forza Italia che si sta accasciando sulle posizioni della destra. E il cambio di fronte è evidente.

Fino ad ora l’identità europeista di Forza Italia è sempre stato un tratto caratterizzante del partito. E infatti è surreale che il ministro degli esteri Tajani, per giustificare l’appiattimento sulle posizioni della Lega sul Mes, dica oggi “la nostra è una critica europeista al meccanismo”, qualunque cosa questo voglia dire, e che lui non spiega. Probabilmente niente. “Ma io non sono contrario al Mes – precisa subito Tajani -. Noi rinviamo la discussione per fare una valutazione complessiva, non abbiamo nessun problema con l’Europa”. E infatti è l’Europa ad avere un problema con l’Italia. Anzi più di uno.

E l’atteggiamento del governo che pensa di trattare il Parlamento europeo come un suk non migliora i rapporti coni vertici di Bruxelles. Consapevole che sarà costretto in ogni caso a ratificare il Mes entro l’anno, il governo sta adottando una strategia di mercanteggiamento per provare a barattare la ratifica con Pnrr, tassi, e magari la nomina di un italiano al posto di Panetta. È stato il ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto a rivelare che il trattato verrà approvato entro l’autunno, e a quel punto in sponda con Giorgetti e Tremonti ha convinto Meloni a posticipare il voto di quattro mesi, anziché, come volevano i maggiorenti di governo, sine die. Ma non è un caso che Meloni abbia scelto Raffaele Fitto, che non è mai stato digerito né dagli ex missini né dalla generazione Atreju, come plenipotenziario per i rapporti con l’Europa. L’unico democristiano della baracca (a parte Rotondi).

Il capogruppo Foti invece nella riunione del gruppo ieri mattina aveva annunciato il rinvio di un anno, per scavallare le elezioni europee, cosi da trasformare l’argomento in tema da campagna elettorale. Ma questo non sarebbe possibile: a Bruxelles vogliono far partire il meccanismo da inizio 2024. E quindi, alla fine, né a settembre né tra un anno. La maggioranza ha deciso per una sospensiva di quattro mesi. Decisione presa di comune accordo tra tutti i gruppi. Ma con la Lega assente. In attesa che evolva la discussione in Europa sul patto di stabilità e l’unione bancaria e che si vada – questo l’auspicio – verso le modifiche dello strumento del meccanismo europeo di stabilità.

La scelta è stata ufficializzata ieri in una Camera semideserta per un venerdì che a Roma diventa ponte lungo per i santi patroni. Solo una ventina i presenti, Fratelli d’Italia ricorre alla tattica che utilizza da inizio mandato per tutte i decreti soggetti a populismo elettorale, come ha fatto per Ilva superbonus: lasciare che a parlarne sia un esponente di quinta fila, così da tenere i toni bassi. E quindi è stato Andrea Di Giuseppe, deputato al primo mandato, a prendere la parola per comunicare la richiesta di chiedere il rinvio, dopo le parole della premier Meloni in aula aveva sottolineato come occorra “un approccio a pacchetto”, inserendo la partita del Mes in un contesto più ampio. La scelta di optare per i quattro mesi è un compromesso tra chi puntava ad allungare i tempi ancor di più e chi, invece, ritiene che in autunno occorrerà sciogliere il nodo, cioè tra Fitto e Foti.

E per rinviarlo hanno presentano documento condito di elucubrazioni variopinte, tipo che il Mes avrebbe una componente privatistica sottratta al controllo democratico. Ma come nota un senatore della Lega, il nodo politico non viene sciolto: il premier vuole ratificarlo o no? Il presidente del Consiglio nel suo intervento alla Camera alla vigilia della riunione del Consiglio Ue ha rimarcato di non aver cambiato idea, “ma quello che ho posto – ha osservato – è un tema di metodo. Ha senso che noi procediamo ad una ratifica senza capire quale sarà il contesto?”. Ieri, di ritorno dal Consiglio Europeo, Meloni ha commentato: “Per quello che riguarda il Mes il tema non mi viene posto. Per cui evidentemente non si dia la stessa attenzione che diano noi nel dibattito italiano da parte dei colleghi”.

Ma è Salvini ad aizzare gli animi: “Se ci espellessero dal Mes e lo usassero per conto loro e ci restituissero i miliardi di euro che ci abbiamo già messo io sarei felice” ha detto il vicepremier con il consueto elenco sulle dita della mano: “Se l’Europa è quella che mi danneggia il riso piemontese, la pesca italiana, mi impone l’auto elettrica e mi fa spendere 50mila euro per far cambiare casa non è di sicuro l’Europa di De Gasperi e dei padri fondatori”. Il No del leader della Lega è categorico: “Ci sono soggetti stranieri che coincidono con il nostro interesse e altri che rischiano di costarci decine di miliardi di euro per aiutare altri paesi. Io penso che ci siano tanti italiani che hanno bisogno. Per questo credo che non serva ratificare uno strumento come il Mes che io ritengo inutile e dannoso”.

Ma non vanno meglio le cose in Forza Italia. L’onorevole Tullio Ferrante definisce il meccanismo “uno strumento anacronistico e antidemocratico” e aggiunge “il tasso di liberalismo di Forza Italia non si misura sul Mes. Bensì su garantismo, fisco equo, diritti, lotta ai corporativismi ed ai monopoli, liberalizzazioni (taxi in primis). Più mercato, meno Stato, la persona al centro”. Ci sta dicendo che Forza Italia ha cambiato idea sulle gare per i balneari? Maurizio Gasparri è stato avvertito? E il premier?

Dall’altra parte Elly Schlein continua a dire “ratificarlo non vuol dire attivarlo”. Fra quattro mesi lo dirà anche Meloni.

Annarita Digiorgio

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