Dopo le tragiche esperienze dei paesi balcanici, ora tocca a quelli dell’Est dell’Europa. La tecnica per agevolare le uscite è quella dei corridoi umanitari, il canale di pace in cui far scorrere le vite a rischio dei cittadini ucraini. Una grossa parte di questi sono appunto bambini, se ne stimano almeno 40.000 che, nel tentativo di recuperare un minimo di normalità, avranno bisogno di essere riportati in classe.

Nella scuola di un paese di cui non conoscono ancora nulla (la lingua, le tradizioni, gli usi, la cultura) e che si deve attrezzare per integrarli e assisterli per superare il dramma che queste giovani vite hanno già vissuto. La scuola torna al centro della scena e deve attrezzarsi, immediatamente, per svolgere al meglio il suo compito che, questa volta, è più complesso. Ci sarà bisogno di insegnanti ma anche – a margine del percorso scolastico – di figure di supporto: mediatori linguistici, psicologi, sociologi).

La struttura deputata a organizzare le funzioni – il Ministero dell’Istruzione – si appresta a far ripartire la macchina per il nuovo anno scolastico senza porre attenzione al personale scolastico. Gli organici si limitano a fotografare l’esistente con una tendenza alla contrazione più che all’espansione. L’allentamento dello spettro della pandemia sembra aver già indotto i burocrati del Ministero a ritenerla superata proponendo uno statico e antistorico ritorno al passato.

Serve un’attenta opera di integrazione che solo la scuola sa fare, ma bisogna iniziare a distinguere l’istruzione dall’assistenza. Gli esiti del dibattito seguito alla conversione in legge del D.L. 36/2022, quello che vorrebbe mandare a scuola gli insegnanti, rappresenta una brutta pagina da superare con immediatezza e senza esitazioni. Non bastano gli emendamenti, servirebbe stralciare riforme profondamente sbagliate. Se serve rimodulare il PNRR per attingere alle cospicue risorse disponibili, non si esiti a farlo. Investire in istruzione e umanità è il miglior modo per indicare la nuova strada a tutti.