Tra le mille guerre che si combattono in giro per il mondo, soltanto due stanno catturando l’attenzione dell’Occidente europeo: la guerra d’Ucraina e la guerra di Gaza (che non è combattuta su un fronte unico, ma si allarga ad altri sei, Yemen compreso). La prima si è accesa nel 2014 ed è rimasta quasi silente a bruciare sotto la cenere fino a tre anni fa, la seconda è da tutti vista come limitata a Gaza, con inizio collocato all’8 ottobre 2023. Prima dell’inizio della guerra d’Ucraina, denominata da Putin “operazione speciale”, la Russia ha annesso la Crimea, affermando la sua appartenenza alla Russia. Immediato, ma senza conseguenze pratiche, si è levato lo sdegno dell’Europa, dimentica del fatto che la Crimea è sempre appartenuta alla Russia, anche se una coalizione di Stati europei (guidati da Francia e Gran Bretagna, cui l’Italia partecipò con 15mila uomini comandati dal generale Lamarmora per ingraziarsi il re Napoleone III di Francia, utile alla seconda guerra di Indipendenza) tentò di strappargliela nel 1859.
Ciò premesso, il conflitto è scoppiato in tutta la sua violenza nel 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte russa e ancora è lontano dalla conclusione a causa della inaspettata resistenza ucraina. Contro la Russia l’Occidente ha applicato sanzioni e fornito armi di difesa e di offesa all’Ucraina. perché sembrava chiaro quale fosse l’aggressore e quale fosse l’aggredito.
Aggressore e aggredito
L’inizio della guerra di Gaza, invece, è stato collocato, come si diceva, all’8 ottobre 2023, dopo i massacri perpetrati da Hamas nel sud di Israele con l’assassinio di 1.200 persone a sangue freddo, atrocità di ogni tipo (filmate dagli stessi autori) e sequestro di 250, tra civili e militari, parte dei quali sono ancora prigionieri. Quasi subito il cosiddetto mondo libero ha invertito le posizioni, da cui Israele appare l’aggressore e Gaza l’aggredito. Le carte così mescolate hanno dato inizio alla più grande campagna antiebraica dal 1922 ad oggi. Innanzitutto, la guerra tra ebrei e “palestinesi” dura da millenni e non si è mai fermata, ma se vogliamo circoscrivere le cose occorre arrivare alla risoluzione n° 181 del 1947, con la quale l’Onu approvò la costituzione di due stati uno ebraico e uno palestinese. Niente di più infedele nei confronti della storia e della geografia; inoltre, dare la colorazione religiosa ad uno solo degli interessati, ha condotto all’attuale situazione. Infatti, la pace c’è soltanto con Egitto e Giordania, mentre con tutti gli altri paesi ci sono solo lunghi “cessate il fuoco”, che somigliano ad armistizi, ma che spesso hanno scatenato altre guerre. Il conflitto è chiamato israelo-palestinese, ma anche questa è una denominazione errata, ed è la storia che lo dice. Che l’aggressore e usurpatore di terre venga individuato nello Stato di Israele contraddice la logica, perché presuppone che gli Ebrei non abitassero più nelle tre provincie romane di Galilea, Samaria e Giudea dal 70 d.C., cioè dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera dei Romani.
La fine non si vede
Per non dilungarci troppo, partiamo dal 135 d.C., quando l’Imperatore Adriano domò con la forza l’ultima rivolta “giudaica”, capitanata da Bar Kochbàh, sopprimendo le tre provincie e denominandole unitariamente Palestina, mentre questo nome spettava di diritto a Gaza, terra dei filistei o falashtìn, da tempi immemorabili, risalenti al 20 secolo a.C. Gli Ebrei, tuttavia rimasero in questa nuova provincia dell’Impero per secoli; basta guardare con occhio attento la storia delle Crociate. Per capire quanto squilibrio c’è nell’addebito delle responsabilità nella situazione attuale, vanno fatte delle considerazioni: all’atto dell’adozione della delibera Onu del 1947, i palestinesi potevamo proclamare il proprio Stato, ma non l’hanno fatto, anzi i paesi arabi circostanti hanno invaso il neonato Stato d’Israele; comunque la classe politica palestinese non era ancora abbastanza autonoma dai paesi “fratelli”; si chiede ad Israele di far entrare gli aiuti umanitari e di cessare il fuoco, senza contare che Hamas finora ha gestito la distribuzione dei beni di prima necessità; nessuno chiede ad Hamas di fermarsi e nessuno prova ad ammorbidire le sue posizioni. È di questi giorni l’affermazione che a fronte dei 14mila bambini morti ne sono nati 50mila, già pronti al martirio. Ciò stante non si vede la fine del conflitto, perché nessuno vuole tornare alle vere origini e l’Occidente, come detto, sta applicando due pesi e due misure.
