Ho visto Musetti giocare a tennis, ho la sindrome di Stendhal perché Lorenzo è la bellezza del viaggio

Italy's Lorenzo Musetti celebrates after winning against Australia's Alex de Minaur during their tennis match of the ATP World Tour Finals, in Turin, Italy, Tuesday, Nov. 11, 2025. (AP Photo/Antonio Calanni)

Ci voleva una notte autunnale di Torino, nel torneo dei maestri, per consacrare, finalmente, Lorenzo Musetti nell’élite del tennis mondiale. Una di quelle notti in cui lo sport torna a fare il suo mestiere e a ricordarci che, alla lunga, talento e sacrificio ripagano sempre. La notte per eccellenza del “cuore oltre l’ostacolo”. Perché dopo quasi tre ore di gioco ed otto settimane consecutive in giro per l’Europa a caccia di punti per la race, le gambe smettono di funzionare e la risposta va trovata altrove. Nella testa, dove tutto inizia e tutto finisce. Nel polso, che è un meraviglioso dono del destino. E, perché no, negli spalti che acclamano il tuo nome e ti regalano le energie che oramai pensi di aver esaurito. Se poi è la somma che fa il totale, allora non poteva esserci epilogo diverso. Ed epilogo migliore, a dirla tutta. Le braccia al cielo. Lo sguardo incredulo. L’arena in visibilio. L’abbraccio al suo angolo. Le lacrime di Veronica.

2019, appena 17 anni. I primi passi. L’Australian Open Juniores, nel primo dei tanti match al cardiopalma. Le buone abitudini, sin da subito. Quel ragazzo ha talento. Ed un rovescio ad una mano che riporta ad una bellezza un po’ retrò. 2022. La finale di Amburgo. Il primo trionfo, dopo aver mandato ai matti un certo Carlos Alcaraz che, giusto qualche mese dopo, sarebbe diventato il più giovane numero uno al mondo nella storia del ranking ATP. Il ragazzo sta crescendo. Il ragazzo si farà. Poi, la prima storica Davis. Top 20, poi top 15. L’indimenticabile 2024. La prima semifinale a Wimbledon, nel tempio del tennis. Una clamorosa ed indimenticabile medaglia di bronzo alle Olimpiadi con la maglia azzurra. Cento, cento anni dopo l’ultima volta. Fino al capolavoro sul rosso nel 2025. Finale a Montecarlo. Semi a Madrid, Roma e al Roland Garros. E la corsa matta e disperata per un biglietto al master di Torino, culminata poi con la qualificazione (‘grazie’ al forfait di Djokovic) ed il capolavoro di stanotte, in rimonta su De Minaur.

12 Novembre 2025. Le prime pagine dei giornali nazionali. L’apertura in tutti i notiziari sportivi d’informazione. Serviva una vittoria importante. Eppure, il maghetto di Carrara è sempre stato lì. A lavorare, in silenzio. A crescere, giorno dopo giorno. Seguendo il percorso, restando fedele al suo modo “differente” di interpretare il tennis. Dipingendo rovesci lungolinea ed accarezzando la pallina con la dolcezza di un innamorato.

In un paese che guarda in maniera ossessiva e compulsiva soltanto al risultato, Lorenzo è la bellezza del viaggio. Un cammino graduale, un itinerario mozzafiato. Lorenzo è la ricerca dell’unicità. La passione che accende il fuoco. Il talento smisurato, la consapevolezza che cresce, il desiderio di perfezione. E, perché no, la fragilità. La fragilità che rende umani.

Ho visto Lorenzo Musetti giocare a tennis. Ho la sindrome di Stendhal. D’altra parte, la bellezza non è che una promessa di felicità.

Domani sera. Stesso posto, stessa arena. Dall’altra parte del campo, quel fenomeno di Carlos Alcaraz. Di nuovo. E da numero uno al mondo. La porta dei sogni è sempre aperta.