Entrando al Foro Italico per il mio allenamento del lunedì mattina, ieri, incontro un finalmente disteso e felice Tonino Zugarelli, uno dei fantastici quattro che nel 1976 avevano regalato l’ultima coppa Davis all’Italia, che con il piglio del saggio, mi dice: “Sono contento, per la Davis e per tutto il movimento tennistico, che cresce e germoglia, e questa è la cosa più importante”. Sembra rilassato, finalmente, Tonino, come se non vedesse l’ora, lui che tira su decine di bambini che approcciano il tennis, di togliersi un macigno dal cuore. Erano decenni che cercavamo un successo simile e talenti come quelli che ci hanno fatto riemozionare tutti per uno sport stupendo che, salvo qualche lampo, da decenni ci vedeva ormai solo spettatori di gesta e campioni altrui.
E allora, dopo l’esplosione di Matteo Berrettini finalista a Wimbledon lo scorso anno, e semifinalista in altri due slam, la scoperta di Matteo Arnaldi che si propone come altra realtà l’altro ieri decisiva (senza il suo punto contro Popyryn nella prima partita, il successo a valanga di Sinner ci avrebbe portato al doppio decisivo, dagli esiti incerti visto l’affiatamento della coppia australiana, ben superiore a quello dei serbi uccellati il pomeriggio precedente), in attesa della ripresa di Matteo Berrettini, sul cui talento ed equilibrio non ci sono dubbi da nutrire, e della consacrazione col crisma della continuità di Lorenzo Musetti, dotato di grandissima classe, splendido da vedere, ma che ancora incede a lampi, ecco stagliarsi nitidissima e abbagliante la figura di Jannik Sinner. Che entra di prepotenza, con le sue accelerazioni così moderne, nel pantheon dei grandissimi del tennis italiano, e da promessa diventa realtà consacrata di quello mondiale.

Dove possa arrivare Sinner è dibattito che a me appassiona poco. E’ chiarissimo a chiunque abbia anche solo messo piede mai su un campo da tennis che Jannik è dotato di una quantità di colpi violentissimi e chirurgici, anche in allungo, che gli consentono già oggi di poter battere chiunque, persino una leggenda come Novak Djokovic, due volte nel giro di dieci giorni. Addirittura, infiggendogli il colpo ferale di annullargli tre match point con la sicurezza di un fuoriclasse veterano. Non è un caso che quattro anni fa a Roma, Federer avesse scelto lui, allora solo adolescente, per allenarsi.

Jannik Sinner può di certo diventare numero 1 al mondo, come gli ha riconosciuto pubblicamente Carlos Alcaraz che sarà il suo grande rivale, ma soprattutto può ambire a vincere diversi slam, che secondo me è cosa anche più importante del primato mondiale.
Domenica ha dimostrato lucidità disarmante, intelligenza tattica, ma, mentre guidava la nazionale del bravissimo Filippo Volandri verso la storia, anche una cattiveria da cannibale che ai tennisti italiani è mancata per parecchio tempo: tutte cose che ne fanno un giocatore magari atipicamente italiano ma moderno e mondiale.

Ora Jannik, ingiustamente accusato di tenere poco alla nazionale, si riposi e metta da subito nel mirino l’Australian Open. E’ vero, ha margini di miglioramento nel gioco al volo e al servizio, il che autorizza sogni di gloria ancora più grandi, ma è giusto che punti all’obiettivo grosso sin da gennaio, perché ha dimostrato di essere pronto.
Come è pronto ad accendere un entusiasmo febbrile per il tennis, non più come un tempo sport per pochi, ma sempre più, anche grazie a lui, passione di tutti.
Tutti abbiamo pensato che una volta abbattuto Djokovic e la sua Serbia, fosse fatta. Ma in realtà cosi non era affatto. L’Australia, guidata da un guerriero indomabile come Leyton Hewitt, ex numero 1 al mondo a suo tempo spodestato solo dall’avvento di Roger Federer, aveva già giocato la finale lo scorso anno, e dunque poteva avere maggior confidenza con la tensione che comporta rappresentare una nazione intera sul palcoscenico più delicato, quello dove la palla pesa e il braccio può tremare. Sinner ci ha presi per mano e dimostrato ancora una volta che talento, coraggio e maturità sono uno spettacolo esaltante. E quando ci lamentiamo dei giovai italiani, pensiamo che anche lui, e gli altri ragazzi, sono figli di questa nazione. E sono bellissimi.