Se le partite di tennis avessero la parola, quelle di Jannik Sinner sarebbero romanzi di formazione. Il ragazzo dai capelli rossi sudtirolese della Val Pusteria la cui mamma si chiama Siglinde, il babbo Hanspeter e il fratello Mark (adottivo ma, come dice Jannik “per me è più di un fratello”) ama ragionare e spiegare cercando le parole giuste. Forse anche questo avrà a che fare con la sua confessata passione per il controllo. O forse avrà a che fare con il fatto che i grandi tennisti, da Rene Lacoste a Susanne Lenglen fino ai campioni di oggi, hanno spesso scelto di mettere su un foglio in bella copia pensieri, segreti, emozioni.
Quello che conta, senza dubbio, è come Jannik abbia imparato a variare il suo gioco, non solo da fondo campo – dove diventava prevedibile e quindi battibile – ma anche sotto rete, come stia costruendo un servizio killer (l’altra sera contro Djiokovic ha messo 15 ace e ha ottenuto il 79% di punti con la prima di servizio), come sappia leggere il match pagina dopo pagina, cioè situazione dopo situazione visto che una partita racconta tante storie diverse. A cui corrispondono giochi diversi.
Qui e oggi, però, dopo l’ubriacatura agonistica di martedì sera vogliamo provare a darvi un saggio di quel “romanzo” privato che Jannik sta scrivendo match dopo match. Quella che segue è una miscellanea del Jannik-pensiero distillato in varie conferenze stampa e interviste di questi suoi primi anni da top player.

“Una manche è troppo breve”

Il ragazzo si fa vedere al grande pubblico – gli appassionati già gli avevano messo gli occhi addosso – nel novembre 2019 alla Allianz Cloud Arena di Milano dove la federazione gli dà una wild card. Vince in finale battendo in tre mini-set Alex de Minaur, anche lui nella new age del tennis. Di quell’esordio restarono alcuni gesti: “Non riesco a capire dove va la sua testa, cosa vuol fare, non riesco a leggere le sue mosse” s’arrabbiava con coach Piatti collegato via cuffie nei cambi di campo. E alcune parole: “Da piccolo sciavo, ero forte (soprattuto in gigante, ndr) ma una manche sugli sci dura troppo poco. Ho scelto il tennis perché una partita dura ore. E a me piace capire cosa succede nella mia testa e in quella dell’avversario”. Aveva 18 anni appena compiuti.
Il ragazzo cresce in fretta, con alti e bassi come dice lui, “ma sempre cercando la parte miglior di me”. Martedì notte, dopo tre ore e 10 minuti di match contro il Dio Nole, 7 volte Maestro in questo torneo, 24 slam vinti, numero 1 del mondo per l’ottavo anno (non consecutivi) sorride al pubblico ancora sudato: “Il tennis è uno sport strano: stasera potevo perdere in due set, ho vinto in tre. A luglio a Wimbledon ho perso in tre set eppure mi sono sentito più vicino alla vittoria dell’anno prima quando su quello stesso campo ho perso in cinque set. Stasera sono stato fino in fondo consapevole che avrei potuto farcela”.
Campioni si diventa a piccoli passi perché essere predestinati aiuta ma non basta. “Costruzione” e “percorso” sono due tra le parole preferite di Jannik (che ha una curiosa proprietà di linguaggio per un madre lingua tedesco). “Quando perdo imparo e so che la settimana dopo ci posso riprovare. Noi tennisti siamo fortunati”. Essere a Torino tra gli otto Maestri, “fa parte di un processo e di un percorso. Quest’anno mi sono allenato anche durante i tornei. Ne ho saltati un paio per allenarmi mentalmente e fisicamente”. Quando gli fanno una domanda, prende tempo, cerca le parole con gli occhi e le mette insieme piano. Pensieri calmi. Come il suo gioco: preciso, controllato – che non vuol dire scontato – logico e lucido, in cerca di colpi di genio ma senza esagerare. Per ora almeno.

Imparare a sorridere

Dibattito aperto sulla timidezza o meno di Sinner. Ha a che fare anche con i sorrisi. Sempre troppo pochi quelli di Jannik. In un’intervista per il magazine “7” racconta che il suo coach, l’australiano Darren Cahill gli ha spiegato che “presto mi sarei reso di aver piacere nel giocare anche per il pubblico e i tifosi. Mi ha suggerito di portare qualche sorriso in più sul campo, quando faccio un bel colpo. Insomma mi devo godere anche un po’ gli obiettivi raggiunti”. Torino e le Finals erano un obiettivo all’inizio del 2023. “Quindi ora sono qui, felice, pronto a fare sempre meglio e a sorridere un po’”. Quanto ha sorriso Sinner martedì sera dopo quella maratona sul filo dei nervi conto il GOAT (greatest of all time). “Per me è un privilegio – ha detto – giocare qui con voi. Perché stasera abbiamo vinto insieme”. Poi magari è anche furbo e sa che il pubblico può essere il terzo giocatore in campo.
Sinner è un tattico. E gli piace. Non scappa e anzi sguazza in quella ragnatela di pensieri buoni e cattivi che può essere una partita di tennis. Sentite cosa ha detto ancora in campo, con la vittoria su Djokovic: “Nole mi ha fatto i complimenti per aver giocato bene i punti chiave. C’è stata un po’ di tensione quando ho perso il secondo set… ho servito cercando la velocità anzichè il piazzamento e ho sbagliato. Però stavolta dopo questo lungo su e giù, sono uscito meglio io di Nole”.
Sempre sulla tattica. Domenica 12 novembre, dopo la vittoria sul greco Tsitsipas: “Oggi in campo ho trovato il giusto equilibrio con il pubblico perché mi spingeva anche quando perdevo il punto e non solo quando lo vincevo. Occorre saper maneggiare situazioni come queste”. Saperle governare, senza farsi condizionare nel bene e nel male. Quanti pensieri da gestire in quel rettangolo che è un campo da tennis dove il giocatore sembra solo ma non lo è mai.
Tutto questo ha a che fare con il concetto di pressione e quindi responsabilità. Che Sinner ha molto chiaro. In una intervista esclusiva con Sky Sport dal titolo “Jannik, oltre il tennis” ha spiegato come adori giocare con la pressione. “Mi piace saper gestire la pressione. E però la mia pressione è nulla in confronto a quella di un chirurgo che deve operare o di un padre di famiglia che deve mantenere una famiglia. La pressione vera è non sapere se tra 4-5 ore ti entra un razzo in casa”. Prendere appunti. Grandi e piccoli.
Nella stessa intervista ringrazia la famiglia “semplice e normale” che gli ha insegnato fin da piccolo cosa è il rispetto. “Io rispetto tutti, sempre, e tutte le situazioni”. Sarà per questo che aspetta il match decisivo per arrivare in semifinale questa sera contro il ragazzino terribile Holger Rune con freddezza e curiosità. “Non ho mai vinto contro Holger. L’anno scorso a Sofia mi sono molto arrabbiato perché mi sono fatto fare il break nel terzo set. Quant’anno a Montecarlo, ha giocato un grande tennis. Quindi non vedo l’ora di poterci giocare di nuovo. Anche Medveded e Alcaraz non riuscivo a batterli. Spero in un bel match che è la cosa più importante”. Non un accenno al fatto che a Montecarlo Rune lo provocò come solo lui sa fare facendoli perdere lucidità. Sarebbe un pensiero negativo. Quindi, via, cancellato.

Umile ed educato

Il ragazzo è educato e umile ma rifiuta i paragoni col passato. “Gioco per me, perché mi piace e non per superare chi mi ha preceduto”. Sempre sul magazine del Corsera ha chiarito con eleganza (e sincerità) un altro punto delicatissimo: la pressione dei soldi e dei contratti. “Respingo il concetto di essere un’azienda. Il mio obiettivo non è fare soldi o il fatturato. A me piace alimentarmi bene, dormire le ore giuste, mangiare a casa ogni volta che posso, farmi trovare in campo la mattina pronto per migliorare. Il mio obiettivo è diventare la migliore versione possibile di me stesso. Faccio tutte le cose che mi permettono di avere più energie in campo. Credo che prima o poi questo atteggiamento qualcosa restituisca”. Ed è semplice: “Stare intorno ad un tavolo con gli amici a sparare cavolate. Dedizione al lavoro, programmazione, conoscenza di sé. E a Natale, “meglio una sciatina sulle nevi di casa che le Maldive”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.