Tra meno di un mese gli italiani saranno chiamati a votare in un clima che promette tutt’altro che bene. Ne abbiamo parlato con il docente e politologo Gennaro Carillo: «Errori, personalismi e veti incrociati hanno precluso la strada di un rassemblement national sul modello francese. Un’utopia, forse, in assenza di un federatore riconosciuto dalle parti, ma forse la sola strada percorribile. A poco varrà riproporre questo schema quando magari una maggioranza sbilanciatissima a destra metterà mano ai diritti civili».
Professore, a meno di un mese dalle elezioni come giudica questa campagna elettorale caratterizzata da litigi, offese e poche proposte concrete?
«Le campagne elettorali finiscono per somigliarsi tutte. Questa assume dei toni lievemente più surreali del solito, evidenziando, se ancora ce ne fosse bisogno, la sconnessione tra questa classe politica e la realtà».
Dopo la chiusura delle liste, ci sono state polemiche sui candidati calati dall’alto che non rappresentano i collegi in cui corrono…
«Siamo di fronte a una crisi di lungo periodo della democrazia rappresentativa. Nella migliore delle ipotesi, i candidati non rappresentano nessuno. Nella peggiore, rappresentano quanto di peggio offre la società o blocchi di potere consolidati. Tocqueville scriveva che la terra, con la sua solidità, con i suoi richiami alla tradizione, esprimeva l’aristocrazia. La democrazia, invece, con la sua mobilità estrema, la paragonava alla polvere. Ecco, oggi la democrazia si è ridotta a blocchi oligarchici, in cui la sola preoccupazione della classe politica è quella di perpetuarsi, anche grazie a leggi elettorali che sottraggono all’elettore qualsiasi diritto di scelta».
Il rischio astensionismo come va combattuto in un periodo storico segnato dall’aumento dei prezzi e da una sfiducia cronica verso la classe politica?
«Andava combattuto facendo discorsi di verità, parlando con rigore, mostrandosi credibili. La riesumazione di Draghi cui stiamo assistendo denota il tasso di malafede imperante».
A cinque anni dall’exploit dei 5 Stelle, soprattutto al Sud e in Campania, come vede il partito di Conte?
«Quell’ibrido rappresentato dal partito di Conte pagherà tutte le proprie contraddizioni e ne uscirà ridimensionato. Ma chi si compiace di questo ridimensionamento ignora che a trarne beneficio sarà la destra».
Il Pd diviso tra deluchiani e candidati imposti da Letta (c’è Di Maio a Napoli città), come si sono mossi i Dem?
«Si sono mossi male, puntando alla mera conservazione di una classe politica modesta e talvolta pessima. Miopia e pigrizia, poi, hanno impedito di vedere al di là del proprio naso. Molte operazioni, sulla carta virtuose, come le agorà democratiche, rischiano di apparire strumentali e retoriche se poi l’oligarchia di partito detiene il monopolio delle candidature, peraltro adottando logiche opache o incomprensibili».
Anche in Campania il centrodestra sarà trainato da Meloni? Oppure Berlusconi e Salvini potranno dire la loro?
«Il centrodestra gode di un’inerzia favorevole e del veloce riposizionamento di chi fa a gara per essergli gradito (commentatori inclusi). Ma anche in questo caso le candidature sono mediamente pessime. In qualche caso, saranno nominati a Roma personaggi che nemmeno un Aristofane strafatto di acidi si sarebbe sognato di immaginare».
