Non è fantasia, ma realtà. Ma poiché tutto quello che sta succedendo a Napoli in questi giorni ha dell’inverosimile, cosa dobbiamo dedurne? Forse questo: che qui stiamo assistendo ad una forma acuta e anticipata di autodistruzione dello Stato. La situazione è nera ovunque, beninteso. E lo Stato di cui sto parlando è lo stesso in cui la magistratura è già in crisi di legittimità per le conseguenze dei casi Palamara e Di Matteo; lo stesso in cui addirittura la scienza, quella al servizio della politica, è accusata di magheggi e di narcisismo opportunistico. Ma Napoli, come spesso accade, ha un di più; qualcosa che allarma oltre misura, perché qui è particolarmente concentrato, sia per quantità di fatti, sia per la loro inquietante “qualità”. Vediamoli in rapida successione.
Qui un ex pm antimafia, in evidente stato di eccitata autostima, ha annunciato, con la toga ancora sulle spalle, e per il bene dell’umanità oppressa, una sua salvifica, se non catartica, candidatura politica, salvo poi – visto l’abisso populista in cui stava per lanciarsi- rientrare precipitosamente nei ranghi. Ma è qui che resterà? O, come è già successo, seguirà una smentita della smentita? Sempre a Napoli, un altro ex pm, ora sindaco, ha accusato Napolitano in diretta tv per aver complottato, quando era presidente della Repubblica, ai suoi danni, così autoassolvedosi per anni e anni di inchieste “rivoluzionarie”, tutte finite nel nulla, che gli sono costate le dimissioni dalla magistratura. Lo stesso sindaco, già protagonista di un braccio di ferro con Renzi presidente del Consiglio sul commissariamento di Bagnoli, oggi è in pieno duello contro De Luca, questa volta sugli orari della movida.
E come ha perso nel primo caso in via definitiva, quindi accettando il commissariamento, così ha già perso al Tar nel secondo. Se si ferma qui, perché non convinto delle proprie ragioni, per quale motivo, con la sua ordinanza “ribelle”, ha buttato nello scompiglio dal prefetto all’ultimo vigile urbano? E se andrà avanti, invece, cosa succederà sul campo? Tuttavia, la folle corsa alla delegittimazione dello Stato non ha un solo protagonista. Lo stesso De Luca che dà dell’irresponsabile al sindaco accusa a sua volta il governo per una serie di “rapine”, di “scippi” e di “furti” – proprio così – ai danni della Campania. E non è finita.
Napoli è anche la città in cui non si sa se l’Asl più importante, quella eletta a modello da De Luca, è effettivamente ancora “infiltrata” dalla camorra, cosa di cui il M5s si dice sicuro. L’accertamento, su input della prefettura, è stato compiuto ormai da molti mesi e una relazione è nelle mani del ministro degli Interni, ma l’esito resta segreto. Un senatore eletto con i voti del Pd ha chiesto di renderlo pubblico, ma il Viminale ha fatto sapere di avere tempo fino alla fine dell’anno, cioè dopo le elezioni regionali. Se è una scelta prudenziale a garanzia di una attenta valutazione, è anche un modo devastante per legittimare tutti i dubbi di questo mondo e per tenere sulla graticola il governatore. Altre ombre che si allungano. Ruoli e tempi istituzionali: a Napoli, insomma, tutto è fuori controllo.
È così che la città sta a suo modo traghettando il Paese da uno stato di grave emergenza a uno stato di permanente incertezza. Per cui, potremmo presto ritrovarci in questa paradossale situazione. Se tutto va bene, potremmo in tempi ormai ravvicinati uscire dalla crisi sanitaria. Potremmo anche risolvere quella economica, se i copiosi flussi finanziari provenienti dall’Europa riuscissero ad arrivare a destinazione. Ma rischiamo seriamente di ritrovarci impantanati in una sorta di napoletanizzazione della crisi istituzionale. E poiché questa è la più importante, alla fine tutto potrebbe fatalmente riaprirsi: la sanità rimanere senza governo e l’economia ritrovarsi prigioniera di una fantasiosa, oscura e labirintica macchinazione burocratica. Meglio pensarci prima.
