I timori di Papa Leone XIV sull’IA sono influenzati dal passato: frenare il progresso sarebbe un errore

Era il 2020 quando Papa Francesco fece riferimento al concetto di “algoretica”. L’etica, cioè, in base alla quale dovrebbe funzionare qualsiasi algoritmo informatico. I timori di Bergoglio, che sembrano essere stati pienamente raccolti dal suo successore Prevost, si riferivano in senso ampio al rapporto tra l’uomo e la tecnologia, e alle ricadute di questa sempre più stretta interconnessione sul funzionamento della società. Un tema al quale il nuovo Papa si è già mostrato attento, in particolare a proposito dell’Intelligenza Artificiale e al suo impatto sul mondo del lavoro. Il tutto proprio nel solco tracciato da Francesco, che riconosceva la natura di “dono di Dio” della tecnologia, ma che al contempo riteneva che questa dovesse essere guidata da princìpi morali capaci di tutelare la dignità umana.

Ora, il fatto che il Papa americano si preoccupi di voler esercitare una verifica dei processi attraverso i quali le macchine si integrano funzionalmente con la vita delle persone non è solo un segno di forte continuità con il suo predecessore, ma anche la concreta apertura di un nuovo campo di confronto tra scienza e morale, e in qualche modo tra passato e futuro. Il tema è importante, e credo si possa prestare anche a rispondere allo spunto che il direttore Velardi ha proposto qualche giorno fa su questo giornale, quando ha tratteggiato un interessante parallelo tra Chiesa e Stato, in merito alla più spiccata capacità della prima di guardare al futuro rispetto al secondo. Un principio al quale si potrebbe anche aderire, pensando per esempio a come il successore di Pietro sia stato scelto proprio per la sua capacità di interpretare il presente e insieme di conservare la millenaria istituzione che rappresenta.

Tuttavia, per quanto ancora poco ci sia stato concesso di conoscere del suo pensiero in merito, i timori di Prevost a proposito dell’Intelligenza Artificiale non appaiono rivolti a una lettura verosimile del presente o del futuro, quanto più influenzati dal passato e da dinamiche sociali, come quelle che caratterizzarono la rivoluzione industriale, che però – a dire il vero – non sembrano oggettivamente incombere sul nostro destino. Guardando indietro, del resto, già molte altre volte la Chiesa ha offerto un’interpretazione errata dell’impatto di nuove tecnologie sulla vita dell’uomo. E se guardassimo all’epoca della rivoluzione industriale, troveremmo anche un Papa, Gregorio XVI, ai quali molti attribuiscono una strenua opposizione allo sviluppo delle ferrovie, all’epoca simbolo di sviluppo e progresso, ma che il Pontefice dell’epoca temeva potessero turbare l’ordine sociale e religioso. E appena pochi anni prima troveremmo un altro Papa, Leone XII, anch’esso poco incline a fidarsi della scienza, tanto che impedì la vaccinazione contro il vaiolo.

Chiaramente, e per fortuna, Prevost non è Leone XII, né tantomeno Gregorio XVI, e tutti confidiamo nella sua visione e nella sua piena consapevolezza delle opportunità che la tecnica può riservarci per il futuro. Altrettanto, è giusto non sottovalutare i rischi delle novità tecnologiche, e saremmo sciocchi a non esercitare un sano principio di precauzione. Tutto questo si può fare, però, senza diffidare della tecnologia oltre la normale prudenza e senza temere il futuro. Ed eccoci di nuovo d’accordo con il Papa che, al suo primo saluto dalla Loggia delle Benedizioni di San Pietro, ha detto proprio questo: “Non abbiate paura”. Ecco, Santità, la prendiamo in parola.