Il cappio stringe anche il governatore Occhiuto: l’inchiesta, i cani da tartufo e il voto tra un anno…

ROBERTO OCCHIUTO, PRESIDENTE DELLA REGIONE CALABRIA

Sarà pur vero quel che dice il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, che “affiancare la parola corruzione al nome Occhiuto è un ossimoro e un’offesa”. Fatto sta che il presidente della Regione Calabria è davvero iscritto nel registro degli indagati proprio per quell’ossimoro e offesa che nel Codice penale si chiama “corruzione”, articoli 318 e 319. È un coro di voci unanimi, a partire da quella del ministro degli Esteri e presidente di Forza Italia Antonio Tajani, quello che giura sull’impossibilità che uno come Occhiuto, ex deputato del partito di Silvio Berlusconi e da quattro anni alla guida della sua Regione, possa aver commesso qualche atto fuori della legalità.

Occhiuto: “Come indagine di omicidio”

Il più stupito sembra lui, che due sere fa si è d’improvviso affacciato con un video sui social, ha dato la notizia di aver ricevuto un’informazione di garanzia e ha gridato tutta la propria indignazione. “A me!”, ha gridato. Come se si ritenesse, proprio in quanto uomo della legalità e amministratore onesto, al di fuori e al di sopra della possibilità di trovare il proprio nome iscritto su quel registro che lui ritiene una sorta di luogo dell’infamia. “È come se mi avessero indagato di omicidio”, dice scandalizzato. Chissà poi perché. Come se non vivesse in Italia, il Paese in cui il governo sborsa milioni di euro ogni anno per le ingiuste detenzioni. Come se non militasse nel partito il cui leader ha subìto perquisizioni e processi persecutori dal momento in cui ha messo il piede in politica. Come se non avesse alle spalle la storia di Mario Oliverio, il suo predecessore dell’opposta storia politica ucciso dall’ingiustizia, e di Marcello Pittella, quello della Regione contigua, la Basilicata, arrestato, costretto alle dimissioni e poi assolto. Come se, tanto per essere maliziosi come Tajani, che ha alluso a “inchieste a orologeria”, lui stesso potesse ignorare il fatto che nel 2026 la Regione Calabria andrà a elezioni. Glielo ricorda, con la malizia delle ultime righe dell’articolo di cronaca che racconta dettagliatamente tutte le sue “malefatte”, il quotidiano Domani. Che rivendica senza pudore di essere una sorta di “mandante” di tutta l’inchiesta della Guardia di Finanza e della Procura di Catanzaro.

I cani da tartufo

E sì, perché a quanto pare questa informazione di garanzia a Occhiuto non è proprio un fulmine a ciel sereno. Anche perché negli ultimi tempi era stato preso di mira dai “giornalisti d’inchiesta” del quotidiano di De Benedetti, che, come sappiamo dall’inchiesta sui dossieraggi di Pasquale Striano, sono i più bravi di tutti nel consumare le suole delle scarpe. Veri cani da tartufo. I quali giurano che, come si legge sul quotidiano di ieri, venerdì scorso “gli uomini della Guardia di Finanza gli avrebbero notificato un decreto di perquisizione”. Si parla di Roberto Occhiuto, naturalmente. Ma non di fatti che riguardano la sua attività di presidente di Regione. Si parla di un’epoca precedente.

Gli indagati dalla Procura di Catanzaro, dal presidente Salvatore Curcio e dal sostituto Domenico Assumma, sarebbero cinque. Come personaggio centrale viene citato il manager Paolo Posteraro, figlio di Francesco che molti parlamentari hanno conosciuto come vicesegretario generale della Camera dei deputati, oggi collaboratore di Matilde Siracusano, sottosegretaria e compagna del governatore della Calabria. Il terzo uomo della vicenda dovrebbe essere Ernesto Ferraro, oggi al vertice di Ferrovie della Calabria, l’azienda di trasporto pubblico di proprietà della Regione e di cui Posteraro era stato consulente fino al dicembre 2024.

Il bonifico di 21mila euro del 2020

Sul legame fra i tre personaggi ruota l’inchiesta di Domani-Guardia di Finanza-Procura di Catanzaro. Proprio il quotidiano di De Benedetti con i suoi “giornalisti d’inchiesta” aveva rivelato che si erano “accesi i riflettori” dell’antiriciclaggio di Bankitalia su un bonifico di 21mila euro incassato da Occhiuto, che allora era deputato e candidato alla presidenza della Calabria, nello stesso mese del 2020 in cui la sua società “Fondazione patrimonio artistico retail” di cui Posteraro è tuttora Ceo, beneficiava della garanzia del medio credito centrale per ottenere prestiti bancari per oltre 350mila euro con il decreto Covid. La movimentazione era ritenuta sospetta per una serie di ragioni che conoscono le Fiamme Gialle e i cronisti d’assalto di Domani.

Il presidente Occhiuto ha chiesto di essere interrogato subito. Anche “al buio”, ha detto, cioè senza conoscere le motivazioni dell’informazione di garanzia. Ma, conoscendo i “mandanti” dell’inchiesta, di luce ce n’è stata già anche troppa, negli articoli che il quotidiano gli ha dedicato. E pare un po’ ingenuo il suo grido agli investigatori “indagate, indagate”, perché lui non ha niente da temere. Ma le vie della giustizia italiana sono lastricate di morti e feriti. Innocenti indagati, arrestati, rovinati, accompagnati alle dimissioni. E poi assolti quando era troppo tardi. O costretti, come è capitato a Giovanni Toti, che ha sempre rivendicato la propria innocenza, a un accordo pur di liberarsi del cappio che gli avevano stretto intorno al collo.