Tra i divari più iniqui e, nello stesso tempo, più dannosi hanno rilievo le addizionali locali. Quelle tasse sui cittadini e attività produttive che pesano diversamente, a secondo del territorio dove si abita e dove si fa impresa. Addizionali Irpef, Irap e altre entrate tributarie, come le tasse automobilistiche, quelle sui rifiuti e accise varie che sono nella manovrabilità degli enti locali. Una gabella sul reddito che pesa molto di più al Sud.
Nel Mezzogiorno del Paese, dove maggiori sono le difficoltà economiche e più allarmanti le condizioni sociali e di competitività del sistema imprenditoriale, si aggiunge un ulteriore carico di imposte, che soffoca ogni tentativo di recupero della domanda interna e della spesa per investimento. Altro che fiscalità di vantaggio! Gli effetti pratici di questa diseguaglianza sulle imposte si possono riassumere in due esempi: un pensionato con un reddito mensile di poco superiore a duemila euro ha 150 euro al mese in più o in meno secondo la residenza; per un’impresa fino al 10% di differenza sull’Irap. Ad avere meno, e a pagare più tasse, sono i cittadini e le aziende nelle Regioni del SUD. Tutte le misure che le politiche nazionali e europee mettono in campo per sostenere le aree a deficit di sviluppo, con i fondi destinati alle politiche di coesione, riescono solo parzialmente a compensare il maggiore prelievo in questo territorio.

Ma da dove nasce l’esigenza di questa maggiore imposta? E perché si annida nel Mezzogiorno? Una prima risposta è collegata alla necessità di garantire l’equilibrio complessivo della finanza pubblica, così come dall’esigenza di ripianare situazioni debitorie pregresse. Chi ha contratto questi debiti sono soprattutto le Regioni e i Comuni del sud. Diamo qualche numero: su circa 1000 procedure di dissesto, o riequilibrio finanziario, oltre il 60% sono distribuite in Sicilia, Campania e Calabria – in questa regione oltre il 50% dei Comuni ha attivato una delle due procedure- un altro 30% è spalmato tra Puglia, Lazio, Basilicata e Molise. Questi Comuni, per uscire dalla situazione di criticità dei loro bilanci, sono costretti a impegnativi piani di rientro e a contrarre nuovo indebitamento, che in gran parte si ripaga con le famigerate addizionali locali. Imposte che graveranno, per anni, sui cittadini di quel Comune.

Venendo poi alle Regioni, le maggiori del Sud, Campania, Sicilia, Puglia e Calabria sono da anni alle prese con lunghi commissariamenti e piani di rientro sulla Sanità. Questo ha comportato non solo una contrazione della spesa, e quindi nel breve e medio periodo inevitabilmente anche un peggioramento della qualità delle prestazioni sanitarie, ma anche un pesante rientro dai disavanzi accumulati. Anche in questo caso, per fare fronte alle nuove esigenze finanziarie, si vessano cittadini e imprese del territorio con le tasse Regionali.
Si dirà: chi ha fatto i debiti deve ripagarli e non può chiedere ai cittadini e imprese di altri Enti Locali, cosiddetti virtuosi, di compartecipare. Benché meno di chiedere aiuto allo Stato. Questo, però, è un ragionamento viziato da un errore di fondo. Premesso che è sempre sbagliato contrarre debito e, soprattutto, disavanzi non coperti bisogna, però, considerare che l’origine di tutto ciò è legato al deficit di trasferimenti legati alla cosiddetta spesa storica. Un metodo di riparto delle risorse economiche, sui diversi territori, che ha strutturalmente penalizzato le regioni del Sud. Ricevono molto meno in termine pro-capite e compensano con il debito i servizi e le prestazioni che devono erogare. Questo è avvenuto per anni e continua ancora oggi. Per concludere, la domanda sorge spontanea: perchè far pagare il prezzo di questo ai cittadini e alle imprese di questi Comuni e non alle politiche nazionali, responsabili nel non avere garantito lo stesso trattamento, generando il più grave divario territoriale esistente in Europa? Una prima risposta può venire dalla riforma del fisco. La legge delega per la riforma fiscale, pensata dal viceministro Leo, punta a revisionare le imposte dirette e indirette. Ci auguriamo che si provvederà anche a rivedere e limitare la distorta applicazione delle addizionali locali.

Stefano Caldoro

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