Il generale Mario Mori indagato a morte: l’ultima follia dei pm, ecco l’inchiesta più surreale del mondo

MARIO MORI EX GENERALE CARABINIERI

Se lo sentiva, il generale Mario Mori, che gli sarebbe cascato addosso “qualcosa”, alla vigilia dell’ottantacinquesimo compleanno e dell’invito a comparire della procura di Firenze. Non avrebbe però immaginato mai di essere indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico.
Aspettava piuttosto una reazione, dopo le motivazioni della sentenza che lo aveva visto assolto, dopo vent’anni di pene e ingiustizie, dalla bufala del secolo, il “Processo Trattativa tra lo Stato e la mafia.

L’inchiesta più surreale del mondo

Non gli erano sfuggite le dichiarazioni del pm “antimafia” Nino Di Matteo, che aveva accusato i giudici della sesta sezione della cassazione di aver emesso una sentenza “politicamente indirizzata”. Così l’ex comandante del Ros e dirigente del Sisde aveva lanciato il suo piccolo allarme in un’intervista al quotidiano L’Identità. “Venti anni di processi sono tantissimi e pesanti. Probabilmente non è ancora finita”. Eccolo accontentato.
Se può esserle di consolazione, caro generale, sappia che, per quanto il fatto sia doloroso e incomprensibile, lei è finito all’interno dell’inchiesta più surreale del mondo.
Che queste indagini sulle stragi del 1993 e 1994, partite a Caltanissetta e planate su Firenze quasi come bagaglio appresso del pubblico ministero Luca Tescaroli, sono state già archiviate quattro volte.

I due Luca

E se Silvio Berlusconi non potrà avere la soddisfazione di vederne la quinta è solo perché non c’è più. Rimangono Marcello Dell’Utri e la storia infangata di Forza Italia. Con una guerra di carte tra le toghe di Palermo, che ripetutamente hanno messo pietre tombali sulle petulanze di certe richieste dei pm, e la procura di Firenze con l’insistenza dei due Luca, Tescaroli e Turco, l’”amico” di Matteo Renzi e della sua famiglia.
Un’inchiesta sulle bombe mafiose del 1993, in via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e san Giovanni in Laterano e san Giorgio al Velabro a Roma. Oltre a quella mancata allo stadio Olimpico, importante per l’accusa perché è del gennaio 1994 e consente alla procura di Firenze di fissare la data dell’ultimo attentato ai giorni precedenti l’annuncio di Berlusconi del suo ingresso in politica.
Dopo, dicono i pm Tescaroli e Turco, non ci sarà più bisogno di bombe e di stragi, perché il risultato sarà stato raggiunto con la vittoria di Forza Italia e di Silvio Berlusconi. Surreale? Certo, ma loro ci credono. E non sono opportune battute sulla necessità di sottoporre i magistrati ai test psico-attitudinali. Ma ci sono altri magistrati che la pensano diversamente. O quanto meno che stanno di più con i piedi per terra e attinenza alla realtà. L’ex procuratore nazionale antimafia ed ex presidente del Senato Pietro Grasso, per esempio. In un’intervista a Lucia Annunziata circa un anno fa aveva raccontato di aver interrogato sulla fine delle stragi un “pentito” molto accreditato, quel Gaspare Spatuzza che aveva svelato l’imbroglio del finto collaboratore Scarantino. E il “pentito” gli aveva detto che le stragi erano cessate perché lo Stato aveva vinto, e tutti i boss erano ormai all’Ucciardone.

Le anticipazioni vaghe e generiche

Quindi non erano Berlusconi e Dell’Utri a organizzarle, ma semplicemente i corleonesi. Ormai sconfitti.
Il generale Mori, scrivono i due Luca (uno dei quali, Tescaroli, che compie queste indagini da quando aveva 27 anni, è ormai promosso procuratore capo di Prato), “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni”. Che erano vaghe e molto generiche. Una su un progetto di attentati al patrimonio artistico e “in particolare alla Torre di Pisa”. E l’altra di “attentati al nord”.
“Accuse surreali e risibili” le ha definite il generale Mori. Ma del resto tutta questa inchiesta è costruita così. E ogni volta che si avvicina la data dell’archiviazione “spunta” una specie di fatto nuovo.

È accaduto negli ultimi mesi del 2022, quando i pm di Firenze hanno avuto la fortuna di imbattersi nel gelataio Salvatore Baiardo, recentemente finito ai domiciliari per calunnia nei confronti di Massimo Giletti, che in diverse puntate di “Non è l‘arena”, aveva parlato di una foto di Berlusconi con il boss Giuseppe Graviano.
La foto non si è mai vista, e Baiardo si è divertito parecchio, a pagamento, a giocare al gatto con il topo, facendola apparire e sparire, da giocoliere quale è.
Poi l’ultima puntata dell’otto maggio scorso, con un danno collaterale. E un avviso chiusura indagini, di un ramo secondario dell’inchiesta, con la notizia del fatto che Ilda Boccassini è indagata per false dichiarazioni al pm, per non aver svelato il nome della fonte del suo amico giornalista Giuseppe D’Avanzo su uno scoop del 1994. E ora Mario Mori.
Il quale ricorda il giudizio sferzante della cassazione sul “Processo Trattativa” e le sue ricostruzioni “storiografiche”. E aggiunge con amarezza: forse la mia colpa è quella di non essermi fatto ammazzare come Falcone e Borsellino? Non ci si poteva accontentare, gli fa eco il ministro Guido Crosetto, di avergli reso per decenni la vita un calvario?
Evidentemente no.