Nonostante i fiumi d’inchiostro versati in questi giorni sulla figura di Robert Francis Prevost, solo pochi quotidiani nazionali hanno citato una sua intervista del 13 aprile 2022 al settimanale peruviano “Semanario Expresión“. L’allora vescovo di Chiclayo affermava: “Vengono fatte tante analisi, ma dal mio punto di vista si tratta di un’autentica invasione imperialista russa. Si stanno commettendo crimini contro l’umanità. Dobbiamo chiedere a Dio la pace, ma anche essere più chiari […] nel riconoscere gli orrori della guerra e le malvagità che la Russia sta compiendo”.
L’appello alla pace
Oggi che è Papa, Prevost ha parlato del conflitto durante il suo primo Regina Coeli in piazza San Pietro: “Nell’odierno scenario drammatico di una terza guerra mondiale a pezzi […] mi rivolgo anche io ai grandi del mondo, ripetendo un appello sempre attuale: mai più la guerra. Porto nel mio cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino. Si faccia il possibile per giungere al più presto ad una pace giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri, i bambini possano tornare alle loro famiglie”. Sono parole nette e chiare, lontane dal tempo in cui “anche la Nato ha abbaiato alle porte del Cremlino”. Esse segnalano non solo una diversità di toni e di linguaggio, ma una presa di distanza, se non una vera e propria rottura, dal pacifismo – non solo cattolico – “neoerasmiano”.
Manipolare i fatti
Probabilmente queste parole non turberanno la coscienza dei religiosissimi Matteo Salvini e Giuseppe Conte, e nemmeno quella dei predicatori laici dell’ineluttabile “resa” di Kyiv al despota di Mosca. Certamente Salvini e Conte, come i Travaglio, Santoro, Orsini, Montanari, Caracciolo, hanno tutto il diritto di dissentire con le opinioni di Leone XIV e dei leader democratici occidentali, ma non hanno il diritto di manipolare i fatti (c’è un aggressore e c’è un aggredito) e di deridere un popolo che non vuole capitolare.
Il viaggio di Trump
Bene. Ora i nodi stanno venendo al pettine. Forse anche Trump non vuole più essere preso per il naso da Putin. E il gruppo dei Paesi europei “volenterosi”, bersaglio polemico preferito della penna più spiritosa d’Italia, sembra che si stia muovendo in sintonia con il presidente americano. Quest’ultimo sta per iniziare un importante viaggio in Medio Oriente. Zelensky giovedì prossimo sarà a Istanbul. Putin non ha accettato la proposta di un cessate il fuoco che accompagni l’avvio del negoziato. E l’ineffabile Maria Zakharova ha precisato che prima si risolvono i motivi per cui è iniziata la guerra (leggi “denazificazione” dell’Ucraina e limitazione della sua sovranità) e poi si discute se far tacere le armi.
Vedremo chi bleffa e chi gioca a carte scoperte. Siamo insomma a un passaggio cruciale dell’affaire russo-ucraino. Che però non è solo russo-ucraino, ma riguarda con ogni evidenza il futuro dell’Europa come “comunità di destino”. Nel frattempo, il ponte tra le due sponde dell’Atlantico che Giorgia Meloni voleva costruire con il cemento romano rischia di fare la fine di quello di Messina: solo progetto e nessun cantiere avviato. Dispiace, ma di fronte alle grandi scelte politiche, gli equilibrismi non pagano.
