A Roma tutto tace
Il mondo corre e Giorgia Meloni sta a guardare. L’impasse sempre più difficile da aggirare

Il mondo corre. La rincorsa frenetica delle prese di posizione di Trump, Putin, Zelensky ci proiettano in un ottovolante della storia. I volenterosi si stringono intorno a Kyiv, dove si sono riuniti sabato per quella che la stampa di tutto il mondo ha definito come la maggiore iniziativa diplomatica degli ultimi mesi se non degli ultimi anni, per mettere fine alla guerra in Ucraina. Emmanuel Macron, Keir Starmer, Donald Tusk, Friedrich Merz fanno quadrato intorno a Zelensky. Meloni si è collegata in videocall. Un vedo/non vedo timido e ritroso che rende ibrida, sempre più indefinita e opaca l’adesione italiana a una campagna di rafforzamento che altrove non conosce esitazioni. Parigi sta mandando i suoi aerei migliori negli aeroporti del Paese invaso dai russi.
La Germania i suoi missili di medio-lungo raggio. La Gran Bretagna aumenta gli aiuti e invia i suoi istruttori militari. Continueranno a sostenere l’Ucraina perché sanno che la sicurezza europea passa da lì. E mentre rafforzano la Difesa contro Mosca, gli europei guardano a Kyiv come benefico, vantaggioso partner nell’integrazione della loro sicurezza comune. Se gli ucraini si dimostrano sempre più fiduciosi in loro stessi, anche i volenterosi sono sempre più consapevoli che l’integrazione dell’Ucraina nel sistema-Europa darà un contributo sostanziale al suo rafforzamento. Ne sono convinti all’Eliseo e a Downing Street, così come a Berlino e a Varsavia. E tenendo il punto, bilanciano lo strepitio dei missili russi. E oppongono alle minacce di Vladimir Putin la fermezza e la coerenza di un’Europa mobilitata.
A Roma tutto tace
E intanto, a Roma? Tutto tace. Giorgia Meloni ha trascorso la giornata di ieri parlando con il leader greco, Kyriakos Mitsotakis, nel verde della placida e defilata residenza diplomatica della presidenza del Consiglio a villa Pamphili. Nella dimora barocca contornata dal labirinto delle siepi, Meloni e i suoi ministri hanno ribadito l’amicizia storica tra Italia e Grecia. Intanto fuori, intorno a noi, il mondo corre: la Turchia si offre come sede negoziale, gli interessati parrebbero disponibili a incontrarsi. Putin prima dice di sì, poi esita. Trump a quel punto affonda: «Vengo anch’io». Il presidente ucraino accelera: «Accordiamoci per una tregua di trenta giorni», si porta avanti. Il nuovo Papa, Leone XIV, non sembra meno deciso. In una affettuosa telefonata con Zelensky esamina la possibilità di andare a Kyiv. Di andare, non di fare un collegamento su Zoom.
L’impasse difficile da aggirare
Certo, se Meloni non si fa vedere in Ucraina insieme agli altri leader europei, un motivo c’è. Stretta tra l’europeismo di Forza Italia, rafforzato dallo sprone di Marina Berlusconi, e il freno a mano tirato da Matteo Salvini, Meloni si trova in un’impasse sempre più difficile da aggirare. Antonio Tajani assicura che si terrà a Roma, a luglio, la grande conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina. Attenzione: la ricostruzione, dice la storia, la fa chi si è impegnato, ha aiutato, ha contribuito di più negli anni della guerra. Giorgia Meloni torni sulla scena da protagonista. Il prima possibile, se non è già tardi.
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