Zelensky ha dunque firmato l’accordo per le cosiddette terre rare con gli Stati Uniti, ma le prospettive di tregua non sono affatto aumentate. Prima di tutto gli americani hanno scoperto che la quantità di minerali critici utili per il microchip nel sottosuolo ucraino è per il 60% nella zona occupata dai russi, e quindi nella loro disponibilità.

Il flop delle mappe minerarie

Tutto il 40% sarebbe dalla parte americana, ma sembra che l’attenzione di Trump e delle aziende che lo circondano miri piuttosto ai grandi filoni minerali, specialmente l’alluminio dopo la rottura con il Canada che era un primo fornitore degli Usa. Adesso si viene a sapere che le mappe minerarie su cui l’amministrazione americana aveva lavorato sono semplicemente vecchie e non corrispondono più allo stato della ricchezza promessa. Si tratta, tuttavia, di trilioni di miliardi di depositi sparsi in Ucraina, non tutti facili da raggiungere e non sempre sfruttabili. Però ci sono dei compensi inaspettati, come ha detto la vicepresidente della Kyiv School of Economics, Natalia Shapoval: depositi di capacità inimmaginabile e incalcolabile di petrolio e gas nel Mar Nero e sembra anche nel mare di Azov.

I ‘pacifisti’ russi per evitare attentati in patria

Nel frattempo in Russia, il potere decisionale di Putin, benché sempre altissimo, non è più assoluto. Ci sono due correnti opposte che si stanno organizzando e sono entrambe composte da economisti e militari. Una di queste, quella che potremmo chiamare “pacifista”, ritiene che sia arrivato il momento di far tornare la Russia nel consesso internazionale, anche perché un’Ucraina sconfitta militarmente seguirebbe al diffondere terrorismo a Mosca, usando sistemi sofisticati simili a quelli del Mossad israeliano. Il 25 Aprile, nel sobborgo moscovita di Balashikha, è saltato in aria, con precisione elettronica, un generale di brigata di grande valore nei servizi segreti. Un delitto perfetto, con l’uso di telecamere auto parcheggiate e coi sensori accesi e di un telecomando azionato a lunga distanza.

In Russia esistono ancora indagini e rilevamenti sui desideri dei cittadini e l’ultimo, condotto dal Levada Center, mostra che più della metà degli interpellati è a favore dei negoziati e solo un terzo propende per un aumento dell’attività militare fino alla vittoria. In Russia esistono ancora piccole aree di giornalismo d’inchiesta indipendente, come quella del Moscow Times, ormai economicamente agonizzante e le agenzie di rilevamento dei mercati che fanno capo a tutte le aziende di cui dà notizia il quotidiano Kommersant, un simil Wall Street Journal. Tutte fanno il tifo per un ritorno alla normalità dei commerci internazionali. Putin queste intenzioni le conosce bene e dosa le proprie pressioni e le proprie ambiguità proprio sugli sviluppi di questo dibattito interno.

Non a caso l’anno scorso il presidente russo ha licenziato in tronco il ministro della Difesa Shoigu, sostituito a sorpresa dall’economista Andrey Belousov. Si discusse sulle ragioni e tutti furono d’accordo sul fatto che Shoigu aveva fallito nell’Operazione Militare speciale che avrebbe dovuto prendere Kyiv in una settimana, far fuori Zelensky e installare un presidente fantoccio. Quando vide che l’Ucraina resisteva, anche a prescindere dalla fornitura delle armi occidentali, Putin licenziò pubblicamente i capi dei servizi militari che non avevano capito niente e nominò un mite economista come Belousov alla Difesa. Seguì una purga contro i fedelissimi di Shoigu come l’ex ministro della Difesa, Timur Ivanov, espulso per corruzione e per sospetto tradimento, così come il generale Yuri Kuznetsov.

Gli omicidi dei capi guerrafondai

Tutto si è svolto in puro stile staliniano, evitando il colpo alla nuca come si usava negli anni Trenta. Oggi Shoigu è il più alto rappresentante militare dei falchi ed è rientrato nelle grazie di Putin, ma con una posizione politica che ha conseguenze sull’economia: quella della guerra ad oltranza fino alla resa incondizionata dell’Ucraina, costi quel che costi. I due generali uccisi presumibilmente dagli ucraini, Igor Kirillov e Yaroslav Moskalik, dimostrano che intorno a Mosca è attiva una potente rete che programma gli omicidi dei capi guerrafondai. Per ora non sappiamo di più: gli uomini d’affari vogliono la pace per fare affari e quelli della guerra vogliono la guerra per vincerla. E Putin, come l’Amleto del monologo incerto fra essere o non essere, annuncia tregue di pura propaganda per dare un contentino a Trump, che scalpita.

Se The Donald dagli europei si sentiva “fottuto”, adesso da Putin si sente preso in giro e, con le purghe all’americana, licenzia il suo consigliere alla Sicurezza, Mike Waltz, responsabile di aver aggiunto, per errore, un giornalista in una chat riservata alla discussione di piani militari. Il suo posto lo assumerà proprio il segretario di Stato, Marco Rubio, mentre Waltz andrà ad assumere il ruolo di ambasciatore presso le Nazioni Unite. Le purghe russe e quelle americane sono ancora molto distanti tra loro come forma di persecuzione.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.