L'editoriale
I mercati controllano la democrazia. E anche fasti di Trump sbiadiscono

La vittoria di Mark Carney sembra solo l’ultima goccia. Un pezzo dopo l’altro, i fasti di Trump sbiadiscono. Macron, Starmer e Merz sono pronti a difendere in armi la pace giusta. Putin lo prende in giro. Pechino gli dà del prepotente. Anche Netanyahu sembra non fidarsi troppo. E intanto, negli Usa, la sua popolarità scende a vista d’occhio. Una meteora? E chi ne sta spegnendo la luce?
Quando, il due aprile, Trump diede il via alla “liberazione” dell’America imponendo dazi mostruosi al mondo intero, noi europei, abituati come siamo ai modi vellutati della politica, rimanemmo a bocca aperta. Certo, l’hanno riportato alla Casa Bianca settantasette milioni di elettori, ci dicemmo, ma com’è possibile che un uomo solo, circondato oltretutto da uno staff spesso improbabile, provochi l’Armageddon? Niente paura, risposero gli ottimisti, verrà indotto a più miti consigli dagli inflessibili checks and balances, dai feroci guardiani del quarto potere, dai santuari della Ivy League. Sarà sconfitto dalla democrazia.
Il potere di Wall Street
E in effetti, nei giorni seguenti, Trump sembrò tornare sui suoi passi, venne a più miti consigli con Messico e Canada, concesse all’Europa una moratoria sui dazi, spese parole cordiali perfino con Xi. Ma attenzione. A fermarne il cipiglio rivoluzionario non erano stati i giudici di qualche Stato a guida democratica, né la Corte Suprema, né i columnist del New York Times. Chi l’aveva costretto a ragionare era stato Wall Street. Era stato il crollo delle Borse, la crescita degli interessi sul debito pubblico, l’instabilità del dollaro, l’ombra della recessione.
Come dire che, prima di farci prendere dal panico, anche noi europei dovremmo porci una domanda, sebbene per molti si tratti di una domanda sgradevole. Chi veglia sulle nostre vite, la democrazia o il mercato? Perché una cosa suggeriscono con chiarezza le cronache delle ultime settimane: di fronte al decisore che legittimamente agisce nel nome della maggioranza, la democrazia sembra mostrare tutti i suoi limiti (l’aveva capito già Tocqueville), mentre invece è il mercato, imperiosamente, a riportare la politica con i piedi per terra. Sì, proprio la finanza, il laissez faire, la logica dello scambio, gli automatismi fra domanda e offerta. Ovvero tutto ciò che, da sempre, la demagogia di sinistra e di destra stigmatizza come i nemici del “popolo”, i padroni del vapore, le élites che sbranano l’uomo qualunque, il mondo corrotto di Gordon Gekko.
Tra democrazia e mercato vince il mercato
Certo è che per adesso, nella partita trumpiana, fra democrazia e mercato vince il mercato. È il mercato a imporre la razionalità delle scelte politiche, a non doversi piegare agli umori della maggioranza, a sconfiggerne le tentazioni tiranniche. A difendere la società, in ultima analisi. Un duro ammonimento per chi crede che basti la democrazia a garantire le libertà e il modello di vita di cui godiamo. E, non di meno, un duro ammonimento per chi ha potuto ritenere che fosse sufficiente il trionfo elettorale per bypassare la logica autoregolata del mercato, il suo carattere socialmente embedded. “Meglio non dimenticarsi di Adam Smith”, ha scritto giorni fa il Wall Street Journal. Ce l’aveva con Trump.
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