Liberali alla riscossa
Chi è Mark Carney, il Mario Draghi dell’Alberta che ha vinto le elezioni in Canada. Un segnale contro il “tradimento Usa”

Ah già, che c’è anche il Canada! Ci voleva Trump perché ci accorgessimo del secondo Paese al mondo per estensione, ma abitato da una popolazione inferiore a quella italiana (40 milioni loro, contro 60 noi). Un membro del G7, fornitore di risorse naturali per quasi mezzo mondo. Il 21esimo nel ranking della classifica del reddito pro capite (53mila dollari Usa). Questo per stare alle banali classifiche da atlante di scuola media. Era necessario Trump per scoprire che il post-Trudeau non ha cambiato la rotta del Paese. Il voto ha confermato ai liberali una maggioranza ai Comuni che hanno salda ormai da vent’anni. Con il 43,5% delle preferenze e 168 seggi assegnati, i Liberals guidati da Mark Carney dovranno decidere se creare un governo di minoranza – la maggioranza assoluta alla Camera è di 172 seggi – oppure mettere in piedi una coalizione, alla quale basterà il sostegno dei 7 parlamentati del New Democratic Party. Dal canto loro, i conservatori, anche se rafforzano l’opposizione con una crescita dei consensi del 7,8% rispetto al voto di cinque anni fa (contro il +10,8% ottenuto dai liberali), si fermano al 41,4% dei voti, 144 seggi. Fuori dai giochi gli indipendentisti del Bloc Québécois. I loro 23 membri rappresentano solo il Québec.
La reazione a Trump
Ora, si dice che Trump abbia fatto da convitato di pietra a tutta la corsa elettorale. Le sue cannonate sparate oltre confine, sul fatto che il Canada sarebbe dovuto diventare il 51esimo Stato americano, erano già state rispedite al mittente da Trudeau. Alla minaccia dei dazi al 25% dei prodotti canadesi, il governatore dell’Ontario, Doug Ford, si era tolto i guanti bianchi e aveva minacciato di lasciare al buio Winsconsin, Michigan e New York. Carney, nel suo interregno pre-voto, aveva semplicemente intimato il tycoon di non esagerare. Una reazione, di orgoglio più che di sovranismo, dell’intero Paese, cui Pierre Poilievre ha aderito troppo tardi. Solo dopo l’ultima call to action di Trump, il leader conservatore si è deciso a prendere posizione: «Le uniche persone che decideranno il futuro del Canada sono i canadesi alle urne». Potus incassa così una batosta che coincide con i pessimi dati sul consenso a 100 giorni dall’insediamento. Mai così bassi per i suoi predecessori più recenti. La magic hour di San Pietro non ha attraversato l’Atlantico. Del resto, al cittadino Usa importa più il crollo di Wall Street che la pace in Ucraina.
Chi è Mark Carney, il Mario Draghi dell’Alberta
Ma torniamo in Canada. È riduttivo dire che è stato un voto contro Trump. Perlomeno non soltanto. Il Paese ha scelto la continuità. Ha espresso fiducia in un tecnocrate che già si era dimostrato valido governatore della Bank of Canada e prima ancora della Bank of England. Quest’ultima nel periodo della Brexit. Carney è l’uomo che ha coordinato una specie di Dunkerque finanziaria del Regno Unito, permettendo poi una nuova primavera per la Londra dei grandi capitali. Ha traghettato la City fuori dall’Europa. Non poca cosa. Pragmatico al punto da abbandonare la impopolare carbon tax sui consumi voluta da Trudeau, in modo da togliere dal dibattito elettorale un argomento che i conservatori avrebbe potuto usargli contro. Competente e alla mano, dice la stampa canadese. Potresti uscirci per bere una birra dopo aver giocato a hockey insieme. Ora a questo Mario Draghi dell’Alberta, dove Carney è cresciuto per poi laurearsi ad Harvard e farsi le ossa in Goldman Sachs, spetta il compito di mettere mano alle debolezze del Paese. Insicurezza nelle strade per via di un crescente numero di senza tetto, caro vita in crescita, contraddizioni nella gestione delle sfide climatiche. Il Canada è uno dei maggiori esportatori di carburanti fossili e il primo al mondo per aree deforestate. Tutte questioni che i conservatori, con piglio populista, hanno cercato di usare. Nulla di fatto. I liberali, i tecnocrati hanno vinto grazie a vent’anni di governo. Contro Trump una punzecchiatura finale. «Non dimenticheremo il suo tradimento», ha detto il nuovo premier.
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