L'intervista
Il sinologo Sisci: “Nuova Guerra Fredda ma la Cina è in grado di resistere per anni. Mondo si prepari a inflazione e recessione”
L’esperto di Cina assicura: “Il Dragone ha già in serbo un arsenale di contromisure. Gli Stati Uniti devono essere pronti”

La Cina non ha alcuna intenzione di arretrare: si è preparata alla guerra dei dazi e ora ha la capacità di resistere a lungo al conflitto tariffario con gli Stati Uniti, puntando ad esempio sull’autosufficienza e sul rafforzamento dei legami con la Russia. La domanda sorge spontanea: chi riuscirà a sopportare maggiori sofferenze? Il sinologo Francesco Sisci, già corrispondente del Corriere della Sera e de La Stampa, non ha dubbi: «A differenza degli Stati Uniti, la Cina non deve fare i conti con un mercato azionario libero, capitalisti indipendenti o un Congresso eletto. Questo consente a Pechino di resistere a pressioni prolungate per mesi o anni, attribuendo le sfide economiche all’antagonismo americano». La scommessa del Dragone, come l’esperto ha sottolineato in un recente articolo pubblicato su Appia Institute, è che l’America non sia pronta per un conflitto commerciale su vasta scala: «Senza una preparazione adeguata, gli Usa rischiano di subire umiliazioni e conseguenze impreviste, rendendo necessaria una rapida rivalutazione della propria strategia nei confronti della Cina».
Qual è la natura di questa guerra commerciale?
«Non è solo una guerra commerciale: è un pezzo di un conflitto molto complesso di cui fa parte anche la guerra in Ucraina. È parte di una nuova Guerra Fredda assai complicata».
L’opinione pubblica cinese è preoccupata o ritiene che possa essere un’opportunità di rinascita nazionale?
«Non c’è un’opinione pubblica cinese, la Cina non ha una libertà di stampa. Non c’è un popolo, il sistema è autoritario. Chi parla in Cina? Ci sono l’opinione del partito e le informazioni che il partito fa passare. Quindi è difficile parlare di opinione pubblica allo stesso modo che in Italia, per esempio».
La raffica dei dazi può sfociare in un conflitto finanziario, con implicazioni per i mercati valutari e obbligazionari? La guerra delle valute tra yuan e dollaro sarebbe un incubo…
«È già sfociata in questo. I crolli di Borsa che abbiamo visto negli ultimi giorni sono proprio un effetto di questa guerra tariffaria».
La Cina cercherà di rafforzare le sue alleanze commerciali con altri Paesi per contrastare l’isolamento economico? A quali mercati potrebbe guardare?
«Non proprio, continuerà a fare ciò che fa con tutti gli altri Paesi. La posizione cinese è: noi rispondiamo colpo su colpo all’America, siamo pronti ad affrontare una guerra commerciale. Il problema è che probabilmente gli Usa di Trump pensavano che, dopo l’annuncio delle tariffe, la Cina si sarebbe piegata. Invece la Cina non si è piegata né si piega perché era pronta già da tempo per affrontare la guerra commerciale. Ha in serbo un arsenale di altre contromisure nel caso ci fosse un’ulteriore escalation».
Che riflessi ha sull’economia globale?
«I riflessi possono essere enormi: ci dobbiamo aspettare – in questo momento, in queste ore, in questi giorni – una prospettiva di inflazione e recessione, se la cosa va avanti».
E se l’America facesse un passo indietro?
«La Cina probabilmente non farebbe un passo indietro. Questo incrina il prestigio globale americano ed è oggettivamente un colpo per Trump, è una cosa molto seria e grave perché il mondo gira intorno all’America».
Limitare le esportazioni di terre rare è un’arma nelle mani di Pechino. Sarebbe un colpo basso per gli Usa?
«Ma le terre rare non sono affatto rare, ce le hanno dappertutto, hanno importanza quasi zero. Non è quello il problema».
E qual è?
«La Cina è il più grande Paese esportatore verso l’America. Una guerra di tariffe di questo tipo sconvolge il commercio e l’economia globale, quindi per questo anno tutto il mondo avrà probabilmente più inflazione e recessione».
A queste condizioni è possibile immaginare un accordo per evitare un’escalation?
«In questo momento no. Fra qualche tempo, bisogna vedere cosa succede».
C’è il rischio che l’Europa venga spinta sotto l’influenza cinese? Sarebbe un autogol per Trump…
«Chi lo afferma dice una fesseria, una sciocchezza. L’Europa ha dei problemi di dispute commerciali con la Cina simili a quelli americani, quindi non vedo perché l’Europa debba mettersi d’accordo con la Cina. Certamente le dispute commerciali sono una cosa, ma noi siamo legati alla Nato con l’America. Quindi l’idea che l’Italia o l’Europa si alleino con la Cina contro gli Stati Uniti è un qualcosa di folle, campata in aria».
In che modo i grandi colossi tech cinesi rivedranno le loro strategie di espansione globale?
«Certamente non potranno espandersi in America, e probabilmente neanche in Paesi che potrebbero essere terzi e quindi riesportare in America».
Si rischia una «cortina di ferro» tecnologica. Potremmo permettercela?
«La “cortina di ferro” c’è e ci sarà, non andrà via. Come sarà, lo vedremo. Ma chi l’ha detto che non possiamo permettercela? Non è vero che non siamo competitivi. Stiamo già reagendo. Ma la cortina l’abbiamo messa noi, non l’hanno messa solo i cinesi».
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