Donald Trump tira diritto e non sembra curarsi delle preoccupazioni che l’innesco di una bomba come i dazi sta procurando in tutto il globo terraqueo, a partire da quei Paesi che degli Stati Uniti sono stati e sono (almeno per ora) partner commerciali. L’allarme – soprattutto per i riflessi sui mercati – non si limita a chi la nuova politica dei dazi la subisce, ma riguarda soprattutto la galassia finanziaria statunitense, a partire dai gestori di quegli hedge fund che sull’economia globalizzata hanno creato la loro fortuna, plasmando quel regime economico mondiale nel quale viviamo. Dalle parti di Wall Street infatti aumenta il pressing sui repubblicani e sull’amministrazione, in un Paese in cui le pressioni di chi finanzia la politica hanno un peso rilevante.

Nulla scalfisce Trump

Per ora nulla sembra scalfire Trump e il suo staff economico, al di là di quelle che sono nulla di più che voci di corridoio, forse create ad arte per sondare reazioni e sentimenti quantificabili nei listini di Borsa. Al momento i mercati non sembrano essere la prima preoccupazione di The Donald, che invece è concentrato su qualcosa di più rilevante come il debito pubblico americano. Perché l’errore che si sta commettendo in molte delle analisi quotidianamente rilanciate è sottovalutare la “ratio” dal punto di vista statunitense che ha prodotto la politica dei dazi, considerando che in molti si limitano a etichettare il tutto come una sorta di “ennesima follia” trumpiana. Ma nelle scelte del presidente Usa e di Scott Bessent, il segretario al Tesoro, vi è una strategia dettata dalla vera emergenza dell’economia americana con cui la nuova amministrazione è chiamata a confrontarsi: quella dell’enorme debito pubblico e degli elevatissimi tassi di interesse che gli Stati Uniti sono costretti a pagare.

Favorire la Federal Reserve

È chiaro che – contrariamente alla prima amministrazione del tycoon – il mercato azionario, almeno in questa prima fase, è destinato ad essere sacrificato in favore di una politica più accorta nei confronti del mercato obbligazionario e soprattutto dell’enorme debito. In quest’ottica anche una leggera recessione va nella direzione di favorire la Federal Reserve che – tagliando i tassi – sarà poi chiamata a contrastare il macigno dell’inflazione che colpisce l’economia americana e il potere d’acquisto delle famiglie, in particolare quei ceti più deboli che sono la parte massiccia dell’elettorato Maga e il cuore di quell’America che noi definiamo “profonda”. Non può che essere interpretato in questo senso quel “teniamo la barra dritta” esclamato da Bessent in risposta al panico dei mercati e alle pressioni dei finanzieri.

Privilegiare la negoziazione

Diverso è l’approccio a cui sono chiamati i partner o ex partner europei verso le politiche di Washington, partendo proprio da Italia e Germania: unirsi alla guerra di Bruxelles oppure privilegiare la negoziazione bilaterale a cui – è chiaro – Trump mira dall’inizio della sua strategia. Perché se è evidente che nell’unità d’azione l’Europa troverebbe la chiave di una reazione muscolare più efficace, allo stesso tempo è sotto gli occhi di tutti che nella bilateralità potrebbero emergere altri fattori negoziali più efficaci.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.