Qualcosa torna a muoversi in Libia. E mentre il mondo guarda da tante altre parti – Roma, Ucraina, Gaza e Canada – al di là del Mediterraneo il gioco delle potenze inizia a farsi di nuovo sentire. E con mosse che interessano anche direttamente l’Italia. I primi sono stati gli Stati Uniti, che in questi anni sembrano essersi disinteressati del dossier Libia per concentrarsi su altri fronti aperti, in particolare quelli mediorientali e dell’Est Europa.
In questi giorni, a Washington è sbarcato in visita ufficiale Saddam Haftar, capo di Stato maggiore delle forze di terra della Cirenaica e figlio del generale e comandante dell’est del Paese nordafricano, Khalifa. Saddam è stato ricevuto all’interno del Dipartimento di Stato e ha parlato con Tim Lenderking e Massad Boulos, entrambi alti consiglieri per il Medio Oriente, e con Richard Norland, l’inviato speciale Usa per la Libia. Mentre sempre nella capitale americana si è aperto il ‘’Forum Libico-Americano per lo Sviluppo e la Ricostruzione’’ a cui ha partecipato anche il Fondo per lo sviluppo e la ricostruzione della Libia guidato Belgasem Khalifa Haftar. Questi incontri rappresentano forse la prova più lampante di un rinnovato interesse degli Stati Uniti sul destino della Libia.

Un interesse che non riguarda solo i rapporti economici, fondamentali in vista del futuro, ma anche strategici militari.
In queste settimane, aveva destato un certo interesse la visita di una nuova da guerra della Marina statunitense sia a Tripoli che a Bengasi, una, la capitale del governo di unità nazionale, l’altro il porto più importante della Cirenaica guidata da Haftar. L’arrivo dello Uss Mount Whitney non è solo un passaggio di cortesia. Visite come quelle di una nave militare, tanto più in un Paese con una conflittualità latente, indicano che la potenza che compie quel gesto vuole mettere in chiaro di avere interesse e rapporti con la parte che “omaggia” dello stop. Ed essere andati anche nell’est della Libia, l’area considerata appannaggio dei russi, con una delegazione di alto livello, è un segnale da non sottovalutare da parte del Pentagono e dello stesso Dipartimento di Stato. “La visita sottolinea il sostegno degli Stati Uniti a un esercito libico unificato, in grado di difendere la sovranità del Paese e contribuire alla sicurezza regionale” ha scritto l’ambasciata americana in Libia. E questo conferma come ormai a Washington si guardi non solo verso ovest, ma anche verso est.

La stessa strategia la sta seguendo, pur in diverse forme, la Russia. Perché se il presidente Vladimir Putin ha sempre avuto nella Cirenaica il suo grande punto d’appoggio in Nordafrica, da qualche tempo il Cremlino ha anche iniziato un nuovo tipo di approccio verso ovest. Il mondo è cambiato rispetto alla caduta di Muhammar Gheddafi e ai primi anni di guerra civile. Ore, con la scomparsa dalla scena della compagnia Wagner e con Mosca che ha dovuto subire la perdita (per il momento almeno) della Siria, l’est della Libia può fare comodo. Ma Putin deve anche dimostrare di non avere problemi a dialogare con l’ovest in vista di una riunificazione che può agevolare anche gli interessi russi in caso di completa stabilizzazione. E così, mentre a Washington arrivava il figlio di Haftar, a Tripoli sbarcava una delegazione russa guidata da Alexander Kinshchak, uno dei più importanti funzionari del ministero degli Esteri di Mosca.

Segnali di un rinnovato interesse di Mosca paralleli a quelli di Washington e che arrivano mentre l’Italia è impegnata su un doppio fronte. Da una parte, la premier Giorgia Meloni cerca di rafforzare l’intesa con Donald Trump anche per ricevere rassicurazioni sulla Libia. E questo, in parte, sembra essere visibile già con le ultime mosse di “naval diplomacy” e investimenti. Dall’altra parte, il governo italiano deve anche sondare bene il terreno con l’altro grande protagonista della partita libica il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ieri, incontrando il leader di Ankara a Roma, Meloni ha confermato di avere avuto una discussione “sul presente e sul futuro della Libia” in cui è stato rinnovato “il nostro comune impegno per la sua piena stabilizzazione attraverso la mediazione delle Nazioni Unite”. E così, mentre Russia e Stati Uniti hanno mosso le loro pedine, anche Palazzo Chigi continua a fare le sue mosse per cercare di blindare l’alleanza energetica con Tripoli e inserirsi nel processo di stabilizzazione. Un percorso finora a ostacoli ma in cui Trump potrebbe diventare l’elemento decisivo. Forse in cambio di altre garanzie da parte dell’Italia su Gnl e spese militari.