Molto pathos e poco logos
Più tg e meno talk show sulla morte di Papa Francesco: strafalcioni, banalità e zero distinzione tra notizia e verdetto televoto

Non si contano, ad oggi, le ore di diretta “live” sulla morte di Papa Francesco con risultati di dubbio gusto, per usare un eufemismo. Perché diciamocelo chiaramente: non appena i media mainstream sfiorano le questioni vaticane queste diventano in qualche modo come la kriptonite per Superman, come un phármakon ma nel senso originario greco del termine — che è al tempo stesso rimedio e veleno. Solo che in questo caso, il veleno prevale.
I talk sul papa tra strafalcioni, banalità e storici improvvisati
Dico di più: potremmo far vedere agli studenti di comunicazione e giornalismo quanto adesso passa in tv per insegnare cosa fare e soprattutto cosa non fare in questi casi. Non si contano certi strafalcioni nel glossario liturgico, le incredibili banalità nel racconto, i prelati strattonati nella talare qua e là negli studi, gli storici della Chiesa improvvisati oppure gli storici della Chiesa autorevoli che però non fanno i conti con i dieci secondi (quando va bene) di un intervento nei talk show, perché “me lo devi dire in un telegramma che poi abbiamo la pubblicità”. Lo chiamano il mix di alto e basso del racconto ma non si va oltre la modalità talk, la chiacchiera riempitiva come il selfie di molti fedeli davanti al feretro del povero pontefice. Siamo solo all’inizio dei giorni del lutto e dobbiamo arrivare a sabato, che dio ci aiuti!
E’ la maledizione della televisione generalista che nei cosiddetti “fili diretti” – tranne rare eccezioni – non sbroglia ma imbroglia la matassa, fa del flusso delle notizie (poche in termini di sostanza) un polpettone indigesto che appiattisce e svilisce tutto squilibrato sulla commozione con pochi spunti per la riflessione. Le voci dei fedeli diventano un fondale accessorio, musiche di Morricone che tanto fa “hype” e lacerti di pensieri petalosi e incolori.
Ricette redazionali ideali non ce ne sono, è vero ma si può provare a indicare almeno un principio guida: prendersi il tempo se proprio si deve stravolgere la programmazione ordinaria. Tempo che non vuol dire per forza “allungare il brodo” ma sospendere per un attimo l’urgenza di dire, commentare, interpretare, accavallare le inquadrature e le voci. Se si vuole fuggire dall’accumulo si può andare sul canale YouTube Vatican Media Live con l’emissione original sound e senza commento delle immagini che forse, da sole, evocano una migliore partecipazione personale agli eventi così da restituire l’evento per quello che è: un passaggio storico e spirituale, senza per forza sondare il “sentiment” del pubblico.
L’annuncio della morte del Papa: distinguere notizia da verdetto televoto
Rimaniamo dell’idea che dare la notizia è nobile semplicità senza fronzoli: basterebbe confrontare gli 8 secondi chirurgici con cui Bruno Vespa lesse il flash Ansa sulla morte di Giovanni Paolo II, con i 38 secondi “in affanno” con cui la conduttrice di Storie Italiane ha dato l’annuncio della scomparsa di Papa Francesco. Ci sono infatti due modi di stare davanti alla notizia: uno che informa, l’altro che informa di sé. È il momento in cui il giornalismo dovrebbe distinguere un lancio d’agenzia da un verdetto del televoto.
La televisione, se vuole, può viaggiare per più registri ma il rischio di non saperli distinguere è alto. Fortunatamente l’edizione straordinaria andata in onda dopo Storie Italiane ha saputo “rimettere in asse” il racconto: gli ottimi Valentina Bisti, Oliviero Bergamini e il “vaticanista” Ignazio Ingrao hanno realizzato un prodotto giornalistico sobrio e competente, restituendo senso a quella formula antica e oggi più che mai attuale: unicuique suum, a ciascuno il suo mestiere.
C’è poi infine un equilibrio più profondo da considerare, che chiama in causa sia il pathos che il logos: ogni racconto di dolore — soprattutto se riguarda una figura simbolica come il Papa — mette in tensione questi due poli ma il coinvolgimento emotivo (pathos) deve accompagnarsi a quella capacità di riflessione (logos) che aiuta a comprenderne le implicazioni storiche, religiose, culturali e geopolitiche di un evento globale. Se nel racconto televisivo, questa tensione viene sacrificata sull’altare dell’intrattenimento allora il risultato è un’emotività sbandata, che non consola e non spiega. Si può e si deve dare voce al dolore collettivo senza indulgere alla retorica, offrire contesto senza ridurre tutto a un’analisi da talk show. Perché di questo si tratta, in fondo: più Tg e meno talk.
© Riproduzione riservata