È stato il Papa che si è presentato al suo popolo come il cardinale arrivato “alla fine del mondo”. Francesco scelse quelle parole pensando alla geografia. Mai un pontefice fu scelto così distante dal cuore della Chiesa, proveniente addirittura dall’altro emisfero. Ma quella frase di Jorge Mario Bergoglio, letta oggi, sembra essere quasi una sintesi dei tempi in cui ha regnato. Perché il pontificato di Francesco sembra quasi avere rappresentato la chiusura di un cerchio, la chiusura di “un mondo”.

Quel mondo oggi appare cambiato, stravolto, per certi versi rivoluzionato. In mezzo c’è stata una pandemia, l’avvento dell’Intelligenza artificiale, l’inizio di un’era nuova anche nel rapporto con la tecnologia. La politica è dominata da idee, movimenti e leader che nel 2013 sembravano lontani anni luce dai palazzi del potere. Lo scontro tra Oriente e Occidente si è rinsaldato con il ritorno di Donald Trump e sintetizzato dalla guerra dei dazi di questi giorni. Ma soprattutto ci sono stati e continuano ancora due conflitti che hanno cambiato, forse per sempre, il destino di popoli, Stati, regione e ordine internazionale. La guerra a Gaza e quella in Ucraina sono stati presenti fino all’ultimo nella mente di Francesco, al punto da essere state richiamate anche nell’ultima omelia di Pasqua. Per il Papa più lontano dall’Europa, la guerra è piombata alle porte e addirittura dentro il Vecchio Continente.

La guerra in Ucraina e “l’abbaiare della Nato alle porte russe”

E questi due conflitti hanno rappresentato negli ultimi tre anni le sfide più grandi per la diplomazia vaticana, ma anche per un pontefice diverso – per tradizione, origine e percezione di alcune tematiche – rispetto ai suoi predecessori e che ha dovuto fare i conti con un mondo in cui invasioni, sangue, terrore e armi hanno scandito la quotidianità del pianeta. Bergoglio ha cercato di guidare la barca di Pietro in due conflitti in cui le insidie non sono state poche, anche a livello comunicativo. Puntare alla radice delle guerre, agli interessi in gioco, mettere in guardia anche l’Occidente e Israele da alcune scelte e non solo la Russia e Hamas, investire sul concetto di “pace” e avvertire dei pericoli del riarmo, sono stati elementi che hanno generato problemi di comprensione con i diretti interessati e anche dei veri e propri incidenti diplomatici. Basti pensare forse al primo di questi “casi”, la dichiarazione sul cosiddetto “abbaiare della Nato alle porte della Russia”.

“Non sono a favore di Putin”

Una frase che poi, a Civiltà Cattolica, il pontefice spiegò nel dettaglio. Ma anche nella conversazione sulla rivista dei gesuiti, il Papa mantenne la sua linea. “Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli”. Per risolverli, il pontefice ha anche messo in campo la diplomazia vaticana. Quella della Segreteria di Stato ma anche quella personale del cardinale Matteo Zuppi, a cui Francesco consegnò l’incarico di tentare di costruire un ponte tra Mosca e Kyiv quantomeno sul piano umanitario.

La guerra a Gaza e le telefonate alla parrocchia

Una “missione di pace” che ebbe come principale obiettivo quello di liberare prigionieri di guerra e bambini, e che non fu quella mediazione sperata (forse in maniera troppo ottimistica) da molti. Ma che dimostrò anche che la Santa Sede era rimasta in effetti l’unica “potenza” diplomatica in Europa ad avere un canale di dialogo aperto con tutti. Non solo con la “martoriata Ucraina” ricordata fa Francesco, ma anche con la Russia. Dialogo che il Vaticano ha cercato di proporre, non senza difficoltà, anche tra israeliani e palestinesi. Bergoglio, dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, ha sempre puntato i riflettori sulla situazione umanitaria ma anche sul tema degli ostaggi.

A novembre, una rappresentanza di ex rapiti israeliani e di parenti di persone nelle mani di Hamas fu accolta da Francesco in Vaticano per richiamare l’attenzione sulla loro liberazione. Durante tutto il conflitto, il pontefice non ha mai smesso di telefonare alla parrocchia di Gaza. E in questi mesi, non sono mancati momenti di tensione con il governo israeliano, soprattutto dopo che nel suo libro il Papa si era soffermato sulla necessità di indagare sulle accuse di “genocidio”.

Ma l’obiettivo del pontefice argentino è sempre stato uno. Lo stesso racchiuso anche nel suo messaggio di Pasqua: “Cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira a un futuro di pace”. Un obiettivo che Francesco non ha potuto vedere con i suoi occhi, che si sono chiusi con un mondo che sembra sempre più indifferente agli avvertimenti del pontefice defunto.