Emergenza salariale
Il problema del fiscal drag: lo Stato ha incassato circa 25 miliardi di euro grazie al drenaggio fiscale, i più colpiti sono i lavoratori dipendenti
La questione salariale, è stato detto infinite volte, è uno dei problemi chiave del mercato del lavoro in Italia. Eppure, il Governo continua a raccontare di un Paese dove tutto va bene e gli indicatori economici sembrano volare. La realtà, però, è ben diversa da quella che viene dipinta. Il miglioramento dei conti pubblici italiani è infatti in buona parte merito del fenomeno noto come fiscal drag, o drenaggio fiscale. Il sistema delle imposte sul reddito funziona con scaglioni progressivi che non vengono adeguati automaticamente all’inflazione. Ciò significa che, se il reddito resta invariato mentre i prezzi aumentano, il fisco continua a prelevare la stessa quota, riducendo di fatto il potere d’acquisto dei cittadini.
Secondo stime di esperti, tra cui in primis Marco Leonardi, tra il 2021 e il 2023 lo Stato ha incassato circa 25 miliardi di euro grazie al drenaggio fiscale. Lo conferma anche l’Ufficio parlamentare di bilancio: il gettito totale da fiscal drag (Irpef) previsto per il 2025 sarà di 3.26 miliardi di euro, con un incremento di circa 370 milioni rispetto al sistema pre-riforma (+13%). I più colpiti sono i lavoratori dipendenti, in particolare operai e impiegati: per gli operai il drenaggio rappresenta oltre il 5% dell’Irpef dovuta, mentre per gli impiegati supera il 2%. Un paradosso emerge anche dalla nuova riforma fiscale: l’accorpamento dei primi due scaglioni riduce leggermente la progressività sui redditi più bassi, mentre le nuove detrazioni decrescenti aumentano il prelievo marginale sui redditi medi, accentuando ulteriormente il drenaggio fiscale in caso di inflazione. L’effetto netto è penalizzante e rappresenta una vera presa in giro per le famiglie italiane, che vedono diminuire il loro potere d’acquisto pur pagando più tasse.
E mentre la Presidente del Consiglio continua a intestarsi meriti che non le spettano, in Europa molti paesi hanno già da tempo preso delle contromisure. Belgio, Lussemburgo e Austria hanno introdotto meccanismi automatici di indicizzazione che neutralizzano in larga parte, e talvolta del tutto, gli effetti distorsivi del fiscal drag. La Commissione Europea ha sottolineato l’efficacia di queste misure in uno studio recente, evidenziando anche un rallentamento delle disuguaglianze nei Paesi che le hanno adottate. Altri Paesi, come Francia e Germania, ricorrono ad adeguamenti discrezionali che comunque attenuano l’impatto. L’Italia, nel frattempo, resta silente.
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