Processo di primo grado per i fatti dell’Ilva raso a zero. Può disorientare l’annullamento in appello delle condanne emesse dalla Corte d’Assise di Taranto. Eppure si tratta di pronuncia processualmente impeccabile. Le difese avevano invocato l’art. 11 c.p.p.: il procedimento penale che vede coinvolto un magistrato come imputato, persona offesa o danneggiata dal reato non va celebrato dinanzi ad un giudice situato nel distretto di Corte d’Appello presso il quale il magistrato al momento del fatto di reato prestava o sia venuto successivamente a prestare le sue funzioni. Regola destinata ad attrarre anche i procedimenti eventualmente connessi.

In primo grado, era stata respinta ogni questione con una discutibile lettura della norma. Sarebbe escluso lo spostamento se il magistrato ha successivamente lasciato l’ufficio giudiziario o, seppur danneggiato, non ha assunto o mantenuto la qualifica processuale di parte civile, ritenuti fatti idonei al venir meno dei presupposti di operatività della norma. Evidente la ratio dell’istituto: tutelare al meglio l’imparzialità del giudizio penale che veda in qualche modo coinvolto un magistrato, bene prezioso e superiore ad ogni altro criterio di distribuzione della competenza.

Di nuovo attuale per lo stupore sollevato dall’annullamento di gravose condanne, simile esigenza non sorge certo oggi. Anche se gli strumenti sono stati affinati, con l’intento di delineare presupposti assai tassativi, a tutela di imparzialità e precostituzione del giudice.

Per superare ogni profilo di discrezionalità nell’individuazione del giudice competente, si era passati nel codice Rocco dalla rimessione operata dalla cassazione con l’art. 60 al ben più automatico art. 41-bis c.p.p. Basta con l’assegnazione in via giurisdizionale. Largo ad un criterio originario ed automatico di attribuzione della competenza territoriale nei procedimenti riguardanti magistrati. Da celebrarsi dinanzi al giudice, egualmente competente per materia, situato nel distretto di Corte d’Appello più vicino. Esperienza trasfusa nell’attuale art. 11 c.p.p.. A fini di ulteriore precostituzione, si rimanda ad una specifica tabella nelle norme di attuazione che individua automaticamente il nuovo distretto competente.

Sordi a cotanto retroterra, i giudici tarantini di primo grado sono ora sconfessati dalla Corte d’Assise d’Appello. Et tant mieux; senonché, col trattenere a tutti i costi dinanzi a sé un processo per il quale si era incompetenti intere attività dibattimentali risultano travolte. A causa di fallaci, ancorché ardite, riletture codicistiche. Non è la prima volta, né forse sarà, purtroppo, l’ultima. I giudici ben possono sbagliare, anche in tale materia; se è vero, come dicevano i classici, che si giudica anzitutto sulla propria competenza. Piuttosto, da stigmatizzare è una preoccupante deriva, già da tempo lamentata, in tutti gli strumenti a tutela dell’imparzialità del giudizio, soprattutto in vicende che offendono o anche solo allarmano la collettività e la vicenda Ilva non sembra esservi sfuggita. Una lettura riduttiva e quasi abrogans delle norme in materia, allo scopo di proteggersi da illegittime sottrazioni del fascicolo e asserite difese “dal processo”, sbandierando la precostituzione del giudice.

Si dimentica che le regole in materia di competenza, ivi comprese quelle che ne prevedono lo spostamento, non sono rivolte a tutelare chissà quali prerogative dei magistrati giudicanti ma strumentali ad assicurare imparzialità. Nelle numerose pagine di motivazione sul punto, la Corte d’Assise d’Appello di Taranto spiega a chiare lettere perché ribalta in modo secco l’egoistico verdetto e trasmette gli atti a Potenza: occorre “garantire, nella massima misura possibile, l’apparenza di terzietà ed imparzialità dell’ufficio giudiziario chiamato a giudicare i fatti che coinvolgono un collega che, per particolari rapporti lavorativi intrattenuti con lo stesso, potrebbe sfruttare una ‘rendita di posizione’ all’interno dell’ufficio giudicante”.

Luca Marafioti

Autore

Professore ordinario di procedura penale