Non amo la parola “coerenza” (magari una prossima volta mi dilungo sul perché), la trovo scivolosa, ingannevole, semplificatoria: d’altronde, come disse una volta Aldous Huxley, “la coerenza è contraria alla natura, alla vita. Le sole persone perfettamente coerenti sono i morti”.

Naturalmente, tra la saldezza immota dei defunti e le continue giravolte di tante banderuole che vediamo all’opera ogni giorno, c’è un’ampia gamma di opzioni. Compresa quella di eccedere nel prendere per il culo il pubblico, che a un certo punto può pure spazientirsi.

Non è questo, al momento, il rischio che corre Giorgia Meloni, le cui pur svariate incoerenze, nel passaggio dall’opposizione al governo, sono state descritte ieri dal direttore di questo giornale. Salvo che Renzi, da politico-politico, le ha solo elencate in una (lunga) premessa, per dire in conclusione che si potrebbero mandare in archivio, se si cominciasse finalmente a parlare di politica.

Giusto. Molto giusto. Anche se, percorrendo questa strada, si finisce per planare dritti, dritti su un’altra parola da approfondire – “opposizione” – che alla “coerenza” sembra essere intimamente collegata, almeno in politica. Nel senso che chi è oggi al governo sbandiera la coerenza dei propri comportamenti, nel lungo tragitto compiuto dall’opposizione. E chi oggi all’opposizione ci sta, non riesce a fare di meglio che marcare le incoerenze di chi governa, in assenza di un disegno compiuto sul proprio divenire. Insomma, gli uni e gli altri finiscono per dare ragione a Huxley: si scornano sul passato, sono irrigiditi nelle contrapposte propagande, e descrivono così un paese-cadavere, perfettamente immoto, tale condannato a rimanere.

Eppure, non sono tanto i protagonisti della politica a decretare la condanna: alcuni di loro vorrebbero mettersi in movimento, abbandonare le casematte. Nel micidiale e paralizzante corto circuito che si crea, un ruolo cruciale lo giocano sempre più coloro che assistono alla partita. Intanto gli antichi, coriacei tifosi accecati dalla fede, che preferiscono celebrare la propria “coerente” appartenenza piuttosto che gioire se la squadra del cuore gioca al servizio del paese. Poi i nuovi, ottusi, insopportabili militanti della rete, che provano brividi di piacere da influencer, ogni qualvolta possono inchiodare il povero politico di turno ad una dichiarazione resa nel secolo passato. E infine, ovviamente, i nullafacenti del giornalismo, che hanno del tutto perso il gusto della ricerca della notizia e sanno solo riempirsi gli archivi di copia-e-incolla da tirare fuori al momento giusto. Tutti ormai mezzemaniche della citazione, altro che leoni da tastiera.

Bisognerebbe fermare la logica da stadio dei tifosi della politica, questa è la verità. Bisognerebbe disinteressarsi di quello che dicono gli ultras delle “curve”, fermi come bravi manzoniani nell’affollato incrocio di coerenze e opposizioni, appartenenze e carriere, minacce e paure. E coloro che vogliono mettere in movimento la politica non dovrebbero mai comportarsi come quei capitani impauriti che vanno periodicamente a genuflettersi davanti a curve assetate di sangue. Si prendano la libertà di elaborare proposte fantasiose e innovative, di abbandonare vecchi slogan e casematte lesionate, di rinnovare linguaggi e posture che illudono e regalano certezze fasulle.

Chi governa faccia il proprio dovere verso il paese, non verso le sue truppe. Chi si oppone non lanci proclami senza costrutto, e neppure stia a stilare algidi e astratti compitini. Ci si parli, apertamente. Se i tifosi se ne staranno per un po’ a casa, sarà senza dubbio un vantaggio per il bel gioco della politica.

Claudio Velardi

Autore