In Sardegna è tregua naufragata, i terroristi tirano (e spezzano) la corda, Israele rimane scettica

No, un’intesa per il cessate il fuoco tra lo Stato ebraico e Hamas non si riesce proprio a realizzarla. Neanche a questo giro è infatti possibile battere la notizia di un «accordo raggiunto» tra le parti, che per questo si erano date appuntamento ieri in Sardegna, Costa Smeralda, dopo che i colloqui che si trascinano da settimane a Doha avevano lasciato ben sperare. Invece, dopo appena quaranta minuti, i negoziatori si sono salutati, mentre da Gerusalemme Benjamin Netanyahu richiamava la squadra negoziale in Israele «per ulteriori consultazioni».

L’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, aveva condiviso il proprio ottimismo con il ministro e capo negoziatore israeliano, Ron Dermer, e con il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani, ma è durato il tempo di un gin tonic. «Non sono falliti i colloqui» ha voluto precisare una fonte ben informata. «Si tratta di un’azione coordinata tra tutte le parti. Ci sono decisioni cruciali da prendere… Lo slancio è ancora positivo». Sarà… Ma intanto è evidente tanto lo scetticismo con cui Israele affronta questi incontri, quanto la volontà di Hamas di farli fallire: la proposta originaria prevedeva il rilascio di 125 palestinesi condannati all’ergastolo e di altri 1.200 arrestati dall’Idf a Gaza dopo il 7 ottobre, in cambio della liberazione dei 10 ostaggi israeliani ancora vivi. Israele era d’accordo. Ma il gruppo terrorista ha giocato al rialzo, e ha preteso di far salire quella cifra a 2.200. Il resto è la conseguenza.

Eppure Donald Trump aveva annunciato l’accordo come imminente nei giorni scorsi e, almeno per una volta, era sembrato credibile. Witkoff era volato a Roma da Washington con «la ferma speranza di raggiungere un nuovo cessate il fuoco». Voleva dare una buona notizia al suo presidente, alle prese con uno scandalo sessuale in patria – quello relativo al giro di pedofili intorno al miliardario Jeffrey Epstein – che non lo lascia dormire sonni tranquilli. Ma la buona notizia non è arrivata. La speranza dell’inviato americano si è scontrata infatti con una realtà avvitata da molti decenni intorno a una disputa territoriale, che sinora ha prodotto solo sangue e distruzione. Così possiamo sconfessare la fonte che, dalla Sardegna, osa dire che «lo slancio è ancora positivo»: la missione, invece, è naufragata come era legittimo aspettarsi.

I motivi? La sostanza dei contenuti, certo. La rigidità delle parti in causa, anche («se non verranno rilasciati presto gli ostaggi, si apriranno le porte dell’inferno», aveva minacciato il ministro della Difesa Israel Katz poco prima dell’apertura dei lavori, tanto per capire il clima in cui si sono svolti i negoziati). E infine la forma: già il fatto di aver pensato che una trattativa per sbloccare lo stallo nell’odiosa guerra di Gaza si potesse svolgere nell’opulenza della Costa Smeralda a bordo di un lussuoso mega yacht, mentre migliaia di persone, non così lontano da quella costa, muoiono letteralmente di fame, non era un buon segnale. Quando poi le agenzie hanno battuto la notizia che il round di negoziati era durato meno di un’ora, si è ben compreso come qui ormai nessuno voglia davvero la pace.

Questo ricalca il teatrino andato in scena soltanto un giorno prima a Istanbul, in Turchia, dove i colloqui di pace tra Russia e Ucraina – che almeno si sono svolti in un più sobrio contesto istituzionale (un edificio di epoca ottomana sul Bosforo) – sono finiti ancor prima di cominciare, con il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che aveva profetizzato: «Non ci aspettiamo miracoli». Difatti, in un solo giro di orologio (anche qui 40 minuti, neanche si fossero messi d’accordo), si è potuto appurare che Mosca e Kyiv se la vedranno sul campo di battaglia. Almeno, in quel caso si è ottenuto uno scambio di prigionieri. In Sardegna, neanche questo.

Secondo fonti giornalistiche, Hamas avrebbe preteso, tra le altre cose, il ritiro immediato dell’esercito israeliano dalla Striscia e la fine della guerra. Una chiara provocazione, in cui Israele è cascata in pieno. A chi fa gioco tutto questo? Perché si è organizzato l’incontro, consapevoli che si era tornati indietro rispetto a quanto già accettato da ambo le parti? Cosa è accaduto in queste ore di così cruciale da sconfessare, o quantomeno ribaltare, il lavoro diplomatico americano-qatariota-egiziano, mediatori interessati per una soluzione durevole in Medio Oriente? Forse Hamas ritiene di poter allungare ancora un po’ la propria vita politica, pur essendo un morto che cammina. Mentre Tel Aviv sa che il suo obiettivo è militare: il controllo pieno della Striscia è, secondo il governo, la sola strada per raggiungere la pace. Che, come noto, spetta ai vincitori e non ai vinti.