Intervista a Emanuele Fiano: “Se La Russa presiede il Senato lo deve agli eroi della Resistenza”

Emanuele Fiano, già deputato del Partito democratico è il  terzo e ultimo figlio (dopo Enzo e Andrea) di Nedo Fiano (1925-2020), ebreo deportato ad Auschwitz e unico superstite di tutta la sua famiglia, e della moglie  Rina Lattes. Nel gennaio 2021 ha pubblicato il libro Il profumo di mio padre, che racconta della sua vita di sopravvissuto della Shoah e del rapporto con il padre sopravvissuto ad Auschwitz. Tra il 1998 ed il 2001 è stato presidente della Comunità Ebraica milanese, dal 2001 al 2006 è stato invece consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Nel 2017 è stato promotore di un disegno di legge sull’apologia del fascismo.

Vi sono momenti che immortalano un passaggio d’epoca. La senatrice a vita, sopravvissuta ai lager nazifascisti, Liliana Segre che apre la seduta del Senato nella quale viene eletto come presidente e seconda carica dello Stato Ignazio La Russa, la cui storia politica affonda le sue radici nel Msi di Giorgio Almirante. E questo nel centenario della Marcia su Roma.
Mio padre non conservava odio, solo un’immarcescibile dolore e una granitica forza di reagire e infine una certezza che il suo racconto non fosse veramente comprensibile, a noi e agli altri. E aveva ragione. Un confine quello tra il loro mondo, dove lui era cresciuto e poi quasi morto, le leggi razziali e poi Auschwitz, ed il resto, che ancora, neanche io riesco a superare. Vi racconto questo perché io penso di aver ereditato proprio questo da lui; non tutto quello che sento, che provo, è traducibile o raccontabile; quando vedo Liliana Segre e la sua soave durezza, nel raccontarci il mondo suo interiore ed il nostro, la sua storia ed il nostro paese, sono sopraffatto soprattutto dalla commozione, che è proprio l’espressione della mia impotenza emotiva in quel momento. Per me, per noi, per quelli come me che hanno avuto un padre, una madre, un nonno o una nonna, sopravvissuti o morti nei lager, o alle torture fasciste, o alla guerra partigiana, quando vedo quel passaggio di consegne istituzionali, tra l’ultima erede di quella memoria diretta e l’erede principe di quella cultura che la condannò, so di provare sentimenti non sempre razionali e spiegabili. E so che di fronte alla preziosa forza della Democrazia e della volontà popolare ho il dovere di chinare il capo, riconoscente. Chi ha vinto il consenso popolare ha il diritto a quei posti, ed io ho diritto ai miei sentimenti ed ai miei giudizi. La verità è che noi abbiamo vissuto un passaggio della storia che non tornerà indietro, uno di quei passaggi inevitabili, che la storia consegna a chi scriverà una nuova storia. Inevitabile per lo scorrere del tempo e per la sua fame di cancellazione. Io sono consapevole e forse anche fiero di percepire questo passaggio istituzionale non come una ferita ma come una vittoria. Sono loro, i sopravvissuti, coloro che resistettero alle SS ad Auschwitz, o alle torture in Via Tasso, o all’Hotel Regina, coloro che imbracciarono il mitra in collina ed in città contro i nazifascisti, sono costoro, che erano tutti li, in piedi, orgogliosi, nel Senato della Repubblica, invisibili spiriti, ad applaudire le parole di Liliana, consapevoli della forza della loro vittoria, che ci aveva consegnato la ricchezza di una Democrazia, capace oggi di consegnare le chiavi delle istituzioni a chi, non fa velo di essere erede di chi allora stava dall’altra parte. Farà bene a noi antifascisti percepirla così. Come mi sono sforzato di dire per tutto il corso della campagna elettorale, noi non dobbiamo avere nessun timore che tornino le camicie nere o i comizi in Piazza Venezia; noi dobbiamo essere coscienti di questo e dei valori che invece oggi, la destra europea rappresenta. E contrastarla. Nel merito. Non è la rappresentazione aneddotica del loro essere che ci aiuterà. Giorgia Meloni firmò come prima firmataria nella scorsa legislatura, una legge che prevede la supremazia della legislazione italiana su quella europea, la ripresenteranno? Sarebbe il fondamento di una rottura con l’Europa, la dimostrazione del nucleo ideologico del nuovo nazionalismo di cui sono portatori. L’Europa delle singole autonomie che si associano in caso di interessi comuni ma che non esprimono un comune tessuto solidale valido sempre come nel caso degli Stati Uniti d’Europa. Questa non è una ricostruzione macchiettistica di cosa sia oggi la destra italiana o francese o spagnola, è la loro propria essenza, senza che si debba far riferimento al fatto che abbiano o meno a casa collezioni di busti di Mussolini.

 

Eventi simbolici. Uno l’ha riguardato direttamente. A Sesto San Giovanni, un tempo la Stalingrado d’Italia, nel collegio uninominale Isabella Rauti, figlia di Pino Rauti, esponente di punta del neofascismo italiano, fondatore di Ordine Nuovo, ha la meglio su di lei, figlio di un sopravvissuto di Auschwitz.
Si quella è stata una sconfitta, dolorosa, inequivocabile, collettiva. Legata a molti fattori, ma soprattutto ad una serie di fattori e di errori di questa campagna elettorale del Partito Democratico e del resto dello schieramento. In quel collegio e nel territorio contiguo, Azione e i Cinque stelle hanno ottenuto risultati di gran lunga superiori se non doppi rispetto alle previsioni degli istituti di ricerca indipendenti e il PD un risultato inferiore di diversi punti. Peraltro nei precedenti collegi che componevano quello mio attuale, anche 5 anni fa la sconfitta era stata sonora, cioè i buoi erano già scappati dal recinto da tempo. La senatrice Rauti ha svolto una campagna elettorale molto poco visibile e mi risulta dunque difficile pensare che sia stata lei il fattore decisivo, con tutto il rispetto e con tutta la differenza che conservo con lei. Il risultato è frutto di una iniziale evidente considerazione; la destra unita vince sul resto del nostro schieramento disunito che altrimenti avrebbe vinto. Ovviamente le considerazioni politiche sono tutte possibili, ma la trasformazione sociale di quel territorio non è nuova, e da tempo le grandi concentrazioni industriali non ci sono più, e la presenza di partiti della sinistra che interpretino il ruolo di rappresentanza in particolare della classe operaia e lavoratrice si è ormai volatilizzato. Noi abbiamo un problema grande come un casa di scegliere chi vogliamo rappresentare. Non lasciare indietro nessuno, non lasciare solo nessuno, è un’affermazione che vale un’identità, che rappresenta un senso e una direzione. Nonché una sfida, quella di passare dalla solidarietà caritatevole, fondamentale e sempre da sostenere, ad un sistema sociale e amministrativo che renda stabile e oggettivo l’obiettivo. La domanda, davanti ad una delle peggiori crisi dal secondo dopoguerra ad oggi che oltretutto non ha ancora espresso fino fondo il suo devastante peso, è come raggiungerlo o, quantomeno, perseguirlo con coerenza e determinazione. È tutta lì la sfida per la sinistra, sia per la sua missione storica, sia per il contrasto ad una cultura di destra nazionalista e sovranista che si appresta a governare. In questo caso, nel mio collegio ed in generale, noi abbiamo perso proprio questa sfida.

 

Senza memoria non c’è futuro, si dice. Ma l’elezione di La Russa e Meloni premier, un tempo militante del Fronte della Gioventù e che ha mantenuto la fiamma tricolore nel simbolo di Fratelli d’Italia, sta a significare che l’Italia ha smarrito la memoria storica o c’è altro e di peggio?
Devo dirvi la verità, io penso che la Meloni proverà nel corso della legislatura a diventare la leader conservatrice europea e non più l’erede della cultura postfascista. È la mia impressione, non ho certezze; ovviamente in questo processo, l’elaborazione della memoria avrà il suo peso. Qualche  avanzamento, sempre per me, c’è stato quando Giorgia Meloni a proposito della deportazione dal Ghetto di Roma ha parlato di violenza nazifascista, riconoscendo la colpa fascista nella Shoah italiana. Ma questo avrà un peso relativo se parimenti non sarà chiaro nella destra europea il rapporto che vogliono avere con il modello di democrazia liberale inscritto nella nostra carta. Saranno vicini o no all’idea di Democrazia illiberale di Orban? Azzariti proprio in questi giorni si domanda, su il manifesto, che relazione terrà la destra tra la triade Libertè Egalitè Fraternitè e la loro Dio Patria Famiglia; perché al fondo nell’interrogativo che mi ponete sul tema della memoria, non c’è solo il peso della memoria della Shoah, che ha ovviamente un’importanza fondativa, c’è anche la verifica della relazione storica che la destra sovranista europea terrà con quei valori fondanti delle nostre democrazie. A noi ovviamente sta il compito di focalizzare quella triade declinando i nuovi valori che la sollecitano; questo il compito di una sinistra che attualizzi le proprie radici storiche e le renda vive, traendo dalla storia, anche la più drammatica, una lezione per il futuro.