Il neo presidente del Senato
Ignazio La Russa era fascista e fascista resta

Ieri sono successe tre cose importanti. La prima è che Ignazio La Russa, uno degli ultimi esponenti del neofascismo italiano, è stato eletto presidente del Senato e dunque da oggi è la seconda autorità della repubblica dopo Mattarella.
La seconda è che Forza Italia, all’ultimo momento, non ha votato per La Russa, rompendo la maggioranza e facendogli mancare 16 voti che sarebbero stati decisivi, se a salvare La Russa non fosse intervenuta una pattuglietta di 18 sentori dell’opposizione, nessuno sa di quale partito. Sono i cosiddetti franchi tiratori che fecero la storia della prima repubblica, e che una decina d’anni fa chiusero la carriera politica di Romano Prodi che stava per salire al Quirinale. Stavolta erano franchi tiratori al rovescio: non per affossare ma per salvare.
La terza cosa importante, collegata alla seconda, è che improvvisamente si è scoperto che il centrodestra, che sembrava una gioiosa macchina da guerra (citazione un po’ a sproposito, ma forse mica tanto, di Achille Occhetto) in realtà è parecchio diviso.
Partiamo dal punto due e dal punto tre, che sono collegati. Che una solida alleanza elettorale come quella tra Meloni, Salvini e Berlusconi andasse in pezzi alla prima scadenza politica, anche piuttosto semplice, e cioè l’elezione dei presidenti delle Camere, non era francamente immaginabile. Fino a 48 ore fa l’idea prevalente era che Giorgia Meloni marciasse in autostrada. Poi all’improvviso qualcosa si è inceppato. Dove? Ufficialmente gli ostacoli sarebbero stati i nomi di Giorgetti (non tanto gradito a Salvini) e di Ronzulli (molto gradito a Berlusconi). La decisione di Meloni di mettere nel governo Giorgetti ed escludere Ronzulli ha effettivamente provocato molto malumore. Nella Lega e in Forza Italia. Fino al punto da spingere Berlusconi a mandare pubblicamente affanculo La Russa e poi rischiare di mandare a pezzi la maggioranza?
Difficile credere che un bisticcio sui nomi possa assumere queste proporzioni. L’impressione è che l’amalgama fra i tre partiti del centrodestra non ci sia. E se non c’è l’amalgama, e se all’orizzonte si profila la più grandiosa crisi economia del dopoguerra, non bastano gli accordi di potere a tenere su il castello. In condizioni normali anche una alleanza eterogenea può trovare il punto di incontro nel potere, cioè in una saggia suddivisione del potere. Ma se la crisi azzanna lo Stato e il popolo, allora il potere e il bilancino non bastano più. Berlusconi non è un corsaro. Conosce la mediazione, ha un senso fortissimo dello Stato. Lo ha sempre dimostrato. Se minaccia di far saltare il banco non è certo solo per il nome di Licia Ronzulli (contro la quale, peraltro, non si è capito bene perché si sia scatenato l’anatema della destra).
Sull’economia c’è accordo? Sulla guerra c’è accordo? Sulla laicità dello Stato c’è accordo? E c’è accordo sulla giustizia, terreno sul quale Forza Italia rappresenta le posizioni liberali e garantiste più estreme, mentre Lega e soprattutto Fratelli d’Italia sono molto, molto più incerti e sicuramente non insensibili alle sirene giustizialiste? Aspettiamo per capire. Ma se la luna di miele è diventata luna di fiele sarebbe sciocco davvero dare tutta la colpa all’onorevole Ronzulli. I dissensi non impediranno la formazione del governo Meloni. ma sarà un governo meno forte e unito di quel che ci aspettavamo. E sarà attraversato da molte tensioni.
Vediamo la seconda questione. Che forse più che riguardare il centrodestra riguarda la sinistra. L’elezione alla seconda carica dello Stato di Ignazio La Russa è un colpo a gran parte del recente immaginario della sinistra. Voglio dire l’immaginario antifascista. La Russa è uno dei personaggi più robusti in questo parlamento. Non sono molti , ormai, i parlamentari con una lunga esperienza politica. I nuovi parlamentari sono tutti ragazzi, e anche i più vecchi, sia a sinistra che a destra, in grandissima maggioranza sono persone entrate in politica negli anni ottanta o più spesso nei novanta. La Russa no. Con la barba e il megafono imperversava a Milano negli anni feroci e appassionatissimi che furono i sessanta e i settanta. Ho la sua stessa età, più o meno (meno…) è quegli anni li ricordo bene, e ricordo bene cosa fosse la politica e quanto prendesse della nostra anima, del nostro coraggio, della nostra intelligenza, dei nostri studi. Prendeva tutto.
Io partecipavo ai movimenti del sessantotto e poi , soprattutto, del dopo sessantotto, che furono rossi e di sinistra. In gran parte comunisti. Lui invece era uno dei capi della piccola minoranza, violenta – ma non più violenta di noi – che si opponeva al sessantotto. Cioè faceva parte dei piccoli e agguerriti gruppi fascisti. Ha iniziato così, non portando la borsa a qualche parlamentare, o facendosi notare per le sue doti professionali o la sua eleganza. Ha iniziato portando il megafono e forse qualche manganello. Per colpire e per difendersi. E siccome è un uomo onesto e – credo – appassionato, il suo passato non lo ha mai rinnegato.
Io ho un grande rispetto per La Russa. Penso che sia un tipo vero. Avete presenti i professorini a cinque stelle, quelli che improvvisamente in età avanzata si scoprono pacifisti? Beh, Ignazio la Russa è esattamente il contrario. Però se mi chiedete se la Meloni è fascista vi rispondo senz’altro di no. Se mi chiedete se è fascista La Russa vi dico di sì, sì, senza dubbio alcuno. E la sua elezione è una novità. Dopo 80 anni un fascista arriva ai vertici dello Stato e diventa il numero due. Si, è vero, anche Fini fu eletto presidente della Camera. Ma, a parte il fatto che il presidente della Camera non è vicepresidente della repubblica, come lo è il presidente del Senato, nessuno mai ha considerato Fini un fascista. Era un uomo di destra, all’inizio, poi si spostò al centro. Col duce non c’entrava niente.
Dico che l’elezione di La Russa pone un problema alla sinistra perché forse dovrà rassegnarsi. La Russa ha sdoganato i nostalgici e l’antifascismo non regge più come pilastro di uno schieramento politico. Resta come valore, come idea, come scelta di contrapposizione all’illiberalità, al giustizialismo, all’autoritarismo, al militarismo, al nazionalismo: questo sì. Ma non può essere la quercia attorno alla quale si costruisce la propria identità. Del resto, visto che parlavo del passato, torno proprio al passato. Alla sinistra dei tempi del Pci e dei gruppi extraparlamentari. Non è che non fosse una sinistra antifascista, ma non era lì che definiva la propria identità. La definiva nella lotta di classe, nella lotta, più o meno graduata , al capitalismo. Cioè realizzava una identità modellata su una idea di società, di futuro, non sulla nostalgia per la Resistenza.
Chi costruì se stesso sulla nostalgia della resistenza e sull’esaltazione del rischio di golpe fascista, in quegli anni, sapete chi era? Erano quelli della lotta armata, soprattutto le Br. Certo, anch’io avrei preferito un Presidente del Senato figlio delle vecchie tradizioni, quelle liberali, democristiane e repubblicane. Ma se i meccanismi democratici hanno scelto il vecchio re di san Babila, prendiamocelo e proviamo a non ancorare alla lotta contro La Russa la possibilità della ripresa di un pensiero di sinistra.
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