Graziano Delrio è tra quei politici, ahinoi in via d’estinzione, che non girano attorno ai problemi, ma li affrontano di petto. Cosa che il parlamentare dem ha fatto nei vari, importanti, ruoli pubblici che ha ricoperto. Già sindaco di Reggio Emilia, ministro per gli Affari regionali e le autonomie nel governo Letta, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti prima nel governo Renzi e poi riconfermato nel governo Gentiloni. È stato anche capogruppo dem alla Camera dei deputati. Sulla guerra, le spese militari, il rapporto col pacifismo, il futuro dell’Europa, Delrio ha idee molto chiare che l’hanno portato anche a prendere posizioni “fuori dal coro”.
Sostiene Donatella Di Cesare in un articolo per “Il Riformista”: “Non era mai avvenuto che il popolo di sinistra si sentisse così tradito nei propri più alti ideali da coloro che hanno promosso una politica militarista. Prima hanno deciso l’invio delle armi, poi hanno votato l’aumento delle spese militari, ora sponsorizzano un’economia di guerra”. Siamo a questo punto?
Bisogna dire innanzitutto che la guerra è il tradimento di tutto il popolo, non solo del popolo della sinistra, è fallimento dell’umanità. Le vittime della guerra sono essenzialmente civili e non vi è nessun onore nel lanciare un missile su una città stando seduti in una stanza comoda lontana 2000 km. È una grande mistificazione dire che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi: la guerra è la sconfitta della politica. La guerra è orrore, dolore, sangue, distruzione. Se subentra assuefazione di fronte alle immagini continue, se perdiamo la memoria di questo orrore tradiamo la nostra Costituzione che nasce così bella proprio perché aveva imparato la lezione della storia. Detto questo i democratici non abbracciano nessuna politica militarista e nessuna corsa al riarmo. Noi crediamo nella via europea: il rafforzamento delle istituzioni, la democrazia, il rispetto dei diritti di ognuno. Quanto all’invio delle armi io penso non si possa invocare per un popolo il diritto alla resa e non possiamo chiedere a coloro che vedono il loro territorio, le loro città invase senza motivo, di alzare le mani. La resistenza è legittima specialmente se l’aggressione è totalmente ingiustificata e ingiustificabile. Ma comunque alla resistenza va fatta seguire la ricostruzione e la riconciliazione col nemico.
Resta il fatto che il variegato mondo pacifista, in le sue articolazioni, cattoliche, progressiste, di sinistra, ha fortemente criticato l’aumento delle spese miliari deciso dal Governo e votato a larghissima maggioranza dal Parlamento. Le chiedo: decidere di sostenere, anche con armamenti, la resistenza dell’Ucraina all’invasione russa comportava in automatico il portare, sia pure diluito nel tempo, al 2% del Pil le spese militari?
Questa discussione non si fa con ordini del giorno e strumentalizzazioni Le politiche di difesa sono uno strumento della politica estera di uno Stato, dei suoi obiettivi geopolitici, come il rafforzamento della presenza nel Mediterraneo o la relazione con l’Est. Prima discutiamo di quale politica estera vogliamo fare e con chi, poi discutiamo della politica di difesa al suo servizio. I democratici vogliono gli Stati Uniti d’Europa e una difesa europea unica. Ritorni il primato della politica: Germania, Italia, Francia e Spagna diano vita ad una costituente per gli Stati Uniti d’Europa con una politica estera e di difesa comune e per politiche rafforzate nel campo dell’energia, dell’immigrazione e nella protezione sociale. L’Europa spende già ora quattro volte tanto la spesa militare della Russia e spende pro capite molto più della Cina: il problema non appare quindi quello contabile. L’aumento delle spese militari di ogni Paese è inoltre un obiettivo totalmente improduttivo, non risponde affatto alle logiche di difesa dei territori nazionali. Responsabilità della politica è costruire coerenza tra strumenti e fini. Oggi il fine primario per noi è costruire gli Stati Uniti d’Europa, e quindi mettere in campo come strumento un esercito comunitario.
In questi tempi di guerra, anche il confronto di idee è militarizzato. Chi osa nutrire dubbi sull’invio di armi all’Ucraina o pone l’accento sull’interventismo americano, viene subito accusato di essere “al servizio di Putin”. In Italia sembra essersi aperta la caccia al pacifista. Lei come la vede?
Da una guerra nessuno esce vincitore ma tutti, specialmente i più deboli, escono sconfitti. Ed esce sconfitta anche la ragione. La forza brutale è sempre presente nel gioco degli uomini e della storia ma a quel bellicismo che considera la guerra come una fatalità per sua natura ineluttabile e quindi come un organismo politico normale noi dobbiamo porre una via della pace realistica, paziente e forte. Il pacifismo di Monaco, del settembre del 38, non aveva a cuore la giustizia dei Sudeti o dell’Europa ma mirava che non si interrompessero i suoi sogni di pensionato come disse Mounier. L’uomo nonviolento non distoglie gli occhi dall’oppressione ma rifiuta la logica del nemico perenne. La via della pace non è una via per persone che cercano tranquillità. La via della pace è lotta e opposizione all’ingiustizia, ma con i mezzi che hanno reso grande l’avventura del continente europeo: il dialogo, la comprensione e il rispetto dei diritti di ognuno. Non devono esistere popoli che fanno la storia e altri che la subiscono: la giustizia fra popoli è fondamento della pace vera. In particolar modo in questi giorni di Pasqua e specialmente per chi crede, appare chiaro che il pacifismo non è debolezza ma rifiuto dell’odio e della violenza aggressiva anche col sacrificio personale. Più della logica della deterrenza ci renderà sicuro un mondo multipolare che sceglie un disarmo generale, equilibrato e controllato come disse papa Giovanni Paolo II all’Onu nel 1985.
Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha definito Putin “non partner, ma minaccia”. Ma la pace si fa col nemico. Definire il presidente russo un “macellaio” come ha fatto Biden o un “animale rabbioso”, come ebbe a dire il nostro ministro degli Esteri, aiuta l’apertura di un tavolo negoziale?
Sono d’accordo con Letta. Putin è ed è stato anche in passato, una minaccia per le democrazie. Ha tentato di influenzare le nostre libere elezioni ed ha rapporti stretti con le destre sovraniste. Il nazionalismo, il sovranismo sono sempre una minaccia alla sicurezza ed alla pace. Per questo dobbiamo costruire una sovranità europea. L’iniziativa diplomatica è sicuramente debole, perché è debole l’Europa. Questa guerra è una guerra europea perché Kiev e Mosca sono città europee, ma mancano gli Stati Uniti d’Europa. Non si vede forte la cultura della pace del dialogo e della diplomazia che l’Europa ha incarnato negli ultimi settant’anni: questa assenza pesa e certe parole allora la sostituiscono impropriamente .
Il 24 prossimo la Francia torna alle urne per il ballottaggio presidenziale. Sempre Letta ha sostenuto che per Putin “conquistare la Francia” è ancora più importante che vincere in Ucraina. Il riferimento è alla possibilità che la leader del Front National, Marine Le Pen conquisti l’Eliseo.
Putin mirava a dividere l’Europa, contava sulla debolezza dell’Unione Europea ed è rimasto deluso perché la risposta è stata unitaria ed immediata anche se ancora insufficiente come ho detto sotto il profilo politico. La determinazione della Francia,del presidente Macron a guidare l’Europa verso una maggiore integrazione è la migliore notizia che c’è stata negli ultimi mesi. La Francia fu protagonista del rifiuto della comunità europea di difesa ed oggi che l’Europa è ad un bivio tra rinascere o rimanere impotente come la vorrebbero molti, non solo Putin, può riscattare quell’errore.
La guerra in Ucraina ha cancellato totalmente dai radar mediatici altri e non meno sanguinosi conflitti e tragedie umanitarie che continuano a marchiare i nostri tempi: Yemen, Siria, Afghanistan etc… Siamo alla gerarchizzazione degli orrori, che portano poi ad una politica dell’accoglimento che, vedi la Polonia, discrimina tra profughi di serie A e i tanti di serie B?
La pandemia ci ha insegnato che non si può stare sani in un mondo malato. Saremo tutti più al sicuro se anche i paesi africani avranno diritto ai vaccini. I milioni di morti nel mondo per la pandemia ci insegnano che tutti i popoli sono interdipendenti e hanno un destino comune. La guerra in Ucraina non provocherà solo sofferenze nel popolo ucraino ma anche nel popolo russo, che non deve diventare il nostro nemico. Dalla guerra in Ucraina discenderanno crisi alimentari e forse pericoli di destabilizzazione del Nord Africa che dipendono dal grano europeo. Di fronte a tutto questo si continua a chiudere gli occhi e a cercare di tornare a quello che c’era prima. Ma siamo ad un bivio della storia e il futuro dipenderà da noi, dalla capacità di imparare questa dolorosa lezione. Dalla volontà di rafforzare le istituzioni deboli come l’ONU e l’Unione Europea. Dalla rifondazione di una politica non concentrata sui mezzi tecnici ma sui fini e sulla premessa della insostituibile preziosità di ogni vita, di ogni uomo che nasce. Le guerre nascono nel cuore degli uomini e nella volontà di dominio degli stati. Ed hanno al servizio una spesa bellica senza precedenti che alimenta molti conflitti regionali. A chi dice che senza questa industria l’economia si deprimerebbe vorrei ricordare che, nel 1815, la tratta internazionale degli schiavi fu resa illegale in Gran Bretagna ma quasi nessuno negli Stati Uniti credeva fosse possibile abolire la schiavitù senza causare il collasso dell’economia e dell’ordine sociale. Questo improprio accostamento mi permette di dire che nella storia cambiare si può e talora si deve. Questo è il compito di una politica che deve ritrovare il suo primato sull’economia se vuole recuperare credibilità.
