Intervista a Roberto Morassut: “Perché Calenda si intesta l’agenda Draghi? Nemmeno c’era in Parlamento…”

«Dico a Bonelli come a Calenda: gli avversari veri sono dall’altra parte, ricordiamocelo tutti». Lo dice Roberto Morassut, vice presidente del Gruppo Dem alla Camera dei deputati, un passato da amministratore del Comune di Roma, assessore all’Urbanistica e a Roma capitale nella giunta Veltroni, sottosegretario al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel governo Conte II.

Il campo largo pensato da Letta si è rivelato alla fine un campo minato. Calenda ha rotto il patto, i Cinque Stelle sono in caduta libera e tutti i sondaggi danno la destra con il vento elettorale in poppa. Siamo al suicidio politico del centro sinistra?
C’è un tema su cui varrebbe la pena interrogarci, anche se non è questo il momento delle riflessioni. Ed è perché questo “campo largo” non si è mai tradotto da slogan in un processo politico reale nel corso dei cinque anni della legislatura e dopo una sconfitta già grave come quella del 2018. La mia opinione l’ho detta più volte, ed è che si è battuta una strada vecchia: quella di tentare di mettere insieme delle forze diverse attraverso linee di mediazione diplomatica o pattizia. Un po’ come il vecchio Ulivo. Ma venti anni fa quelle forze che si unirono nell’Ulivo e poi in gran parte nel Pd avevano un “idem sentire” nella storia repubblicana, nelle radici antifasciste rinvigorite dalla fine del mondo diviso in blocchi. Stavolta bisognava lavorare anche dal ”basso” e mettere mano ad una radicale trasformazione del Partito Democratico, della sua morfologia, della sua modalità di esercitare la democrazia e la partecipazione anche traendo lezione da alcune istanze non sbagliate del Cinque Stelle e infondendo loro “elementi di riformismo”, creando un soggetto nuovo attraverso una Costituente dei Democratici.

E invece?
Si è seguita una strada troppo tradizionale, secondo me, che ha dato anche i suoi risultati portando, con Conte, i Cinque Stelle a cambiare certi eccessi e a parlamentizzarsi di più ma non ha modificato la qualità e la struttura del centro sinistra e per questo il “campo largo” è rimasto un’ipotesi incompiuta. A questo punto la situazione è un po’ impazzita e ognuno ha cercato le sue certezze, come spesso accade, nei propri confini togliendo poco a poco a Draghi la base vera di un cemento politico e programmatico. Adesso però, seppure in extremis, può esserci un lampo di ragionevolezza da parte di tutte le forze che vogliono tutelare i Princìpi basilari della Costituzione, inscritti nella sua Prima Parte.

Calenda si intesta l’Agenda Draghi. Lo stesso fa il Segretario del Pd. Siamo alle comiche?
Vorrei dire per prima cosa che il programma del Governo Draghi, che conteneva anche scelte non facili per il Partito Democratico, è stato sostenuto, garantito e sorretto con lealtà e con duro lavoro in primo luogo dal Partito Democratico, dal gruppo dirigente guidato da Enrico Letta, dai suoi Ministri, dai suoi sottosegretari e dai gruppi parlamentari di Camera e Senato guidati da Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. E’ il Pd ad aver portato avanti e garantito l’approvazione, talora con integrazioni e correzioni, dei provvedimenti di un Governo che ha fatto ripartire l’occupazione, migliorato tutti gli indici economici, a partire dal Pil, restituito fiducia alle imprese ed al sistema finanziario, avviato l’attuazione del Pnrr. Siamo stati il perno ed il punto di raccordo di una maggioranza complessa e inedita nata per ragioni di emergenza e credo che questo ci sarà riconosciuto anche elettoralmente, perché siamo e siamo stati una forza affidabile, credibile, concreta dando quella sicurezza che oggi tanto popolo cerca e vuole. Calenda non c’era in Parlamento. Si intesta l’Agenda Draghi come una riserva dei Mondiali di calcio potrebbe intestarsi il titolo. Va bene ma non è stato un protagonista di questa stagione. Noi siamo stati sul campo e nella polvere della battaglia. Dopo di che li avversari veri sono dall’altra parte, ricordiamocelo tutti Ma la politica serve a questo, a cambiare, con l’esperienza e il fare, tante posizioni di partenza. Se pensi che hai ragione solo tu e non ti confronti fai poca strada. Sei un attore non un politico, Reciti e non agisci.

Nel campo del centro sinistra il gioco di squadra è bandito. A imperare sono i personalismi più esasperati. Non sta anche in questo dominio dell’”io” sul “noi” il fallimento di una classe dirigente?
Il correntismo, il frazionismo, la faziosità è effettivamente un vecchio male della sinistra che nasce da una precisa circostanza storica: lo scioglimento dell’Assemblea Costituente russa da parte di Lenin ai primi del 1918, dopo la Rivoluzione d’ottobre. I bolscevichi avevano perso le elezioni e per questo sciolsero l’Assemblea, per tutelare una opzione politica ritenuta superiore benché minoritaria. Da lì nasce questo vizio e tutti se lo portano dentro. Del tipo.” Ho meno consenso ma ho ragione io, quindi spacco”. Renzi e Calenda sono due perfetti e inconsapevoli eredi di Vladimir Ilic. Ma guardiamo i fatti di oggi, la destra non è meno divisa. Ha enormi differenze, gelosie, rivalità e sospettosità interne. Ma è unità da quattro cose essenziali: modificare la parte prima della Costituzione, una collocazione internazionale ambigua dell’Italia che resta ammiccante o collegata esplicitamente a Putin, una sostanziale contrarietà al processo di transizione ecologica e di neutralità climatica entro il 2050, un’idea dei rapporti civili e di classe gerarchica in cui le ingiustizie sono attenuate per via “concessionaria”, octroyee, e non attraverso la via maestra del diritto. Noi dobbiamo unire tutte le forze contro questa mescolanza di fattori. Qui non si tratta di riesumare un frusto antifascismo da operetta contro le camice nere ma di sconfiggere un’idea dell’Italia e del futuro dei giovani! Ed unire tutte le forze disponibili, pur con le loro differenze, ha questo significato. Calenda ha sbagliato. Gli ho dedicato delle rime ironiche. Lo stimo ma è troppo impertinente. Ha enfatizzato la relazione con organizzazioni politiche che hanno opinioni diverse e che valgono quanto lui. L’errore lo sta già pagando con un calo nei sondaggi che lo mette a rischio quorum. Ma gli errori possono essere rimediati ed ha il tempo di ripensarci se non brandisce i temi che ha sollevato come una clava. E tanto vale per Bonelli che ha definito grottescamente Calenda “un fascista”. Gli avversari veri sono dall’altra parte, ricordiamocelo tutti. C’è oggettivamente l’esigenza di uno schieramento di “lealtà costituzionale e repubblicana” più che di sfocato antifascismo. Le grandi forze democratiche, socialiste, azioniste, popolari non sono mai state un insieme granitico ma garantendo la democrazia han fatto crescere il Paese. Questo è uno di quei momenti.

Metà degli italiani si “dividono” tra quelli che non sanno se andranno a votare e quanti si dicono “disgustati” della politica. Un distacco che riguarda soprattutto i giovani. La marea astensionista è inarrestabile?
Parliamo di un fenomeno che investe tutte le democrazie. Quindi il discorso deve allargarsi a questa dimensione ma non ne abbiamo lo spazio. Diciamo che la democrazia nasce con l’esigenza vitale di tempi e sedi che oggi sono messi gravemente in discussione dall’uso che è stato fatto, a partire dagli anni ‘80, dei mezzi di comunicazione di massa. Un uso esclusivamente commerciale e assai meno partecipativo e formativo. L’origine del problema è li. Per cui ormai la stessa politica appare un prodotto commerciale e assai meno uno strumento di azione e interpretazione umana. Un buon placebo, nell’immediato, è affermare una politica concreta, credibile, pacata, che prende per mano le persone e cerca di capire e spiegare. Meglio farlo con dirigenti e rappresentanti preparati, radicati e riconoscibili. A partire dalla selezione di queste liste.

La guerra, i cambiamenti climatici, le diseguaglianze sociali sempre più laceranti. Temi e sfide che non trovano spazio nel dibattito politico del belpaese. Perché gli italiani indecisi dovrebbero recarsi alle urne e perché dovrebbero scegliere il Pd e i suoi alleati?
Dovrebbero scegliere il Pd e dargli il primato di primo partito perché questo, se la destra non supera il 50 per cento dei seggi non dà a loro l’automatismo di formare il governo né di attuare i loro obbiettivi che noi giudichiamo dannosi e che ho descritto poc’anzi. Dovrebbero scegliere il Pd perché noi siamo la sola garanzia di un paese che vada avanti verso una transizione ecologica e digitale giusta che unisce modernizzazione e giustizia sociale, semplificazione per le imprese e salario minimo, diritto alla casa e rilancio dell’edilizia, sanita pubblica, scuola e fisco più equo. La nostra “Agenda Italia”. Dopo la pagina Draghi, importante, ma adesso alle nostre spalle.