I pericoli
Italiani, popolo di analfabeti funzionali. Se il digitale manipola i più deboli e li rende vulnerabili
Nel cuore della crisi geopolitica che stiamo vivendo il concetto di sicurezza nazionale si è radicalmente trasformato. Non è più solo un tema di confini, ma anche di difesa, demografica e controllo delle tecnologie emergenti. Tra le nuove “infrastrutture strategiche” però non possiamo non menzionare l’istruzione e l’intelligenza artificiale, elementi sempre più cruciali per i destini del Paese. Ma come possono questi strumenti diventare realmente leve per difendere l’Italia in un mondo definito da rivalità globali e guerre ibride?
Il rischio della manipolazione digitale
In primo luogo, il rischio della manipolazione digitale è ormai un fenomeno strutturale. Assistiamo quotidianamente a partite di cyber‑war condotte online, deepfake sofisticati che imitano personalità politiche e campagne di disinformative, sfruttando la fragilità educative dei cittadini per penetrare nella società. In Italia, dove il 28% della popolazione adulta fatica a comprendere testi, l’analfabetismo funzionale diventa una porta spalancata per la guerra cognitiva e un drammatico rischio per la tenuta democratica. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale diventa ogni giorno sempre più un asset geopolitico. Lo definiscono le strette diplomatiche tra Parigi e Londra, lanciate da Macron per liberarsi da dipendenze e costruire un asse europeo forte sull’AI. Lo illustrano le politiche industriali globali che trasformano le Big Tech in attori di stato con potere contrattuale sui governi. Assistiamo a un’escalation del concetto di “AI arms race”: non una competizione agli armamenti tradizionali come siamo abituati a pensare ma una corsa per stabilire le nuove regole, gli standard e le infrastrutture cognitive globali.
Alfabetizzazione digitale e algoritmica
Il progetto europeo Readiness 2030 va proprio in questa direzione. Parliamo di uno sforzo collettivo dal valore di 800 miliardi per riarmare l’Europa, dove tech e cyber si mescolano con approcci industriali ibridi. Tuttavia, come ha sottolineato il presidente danese Mette Frederiksen, l’Europa deve accelerare: non basta spendere, serve una visione comune e capacità organizzativa su anzitutto cinque anni. Questo mix di nuove forme della sicurezza impone all’Italia di ricalibrare il proprio sistema educativo. Parliamo non solo di formazione tradizionale, ma di una alfabetizzazione digitale e algoritmica dell’intera società. È sempre più essenziale avere cittadini in grado di riconoscere un deepfake, comprendere il funzionamento degli algoritmi, discernere manipolazioni, significa costruire anticorpi cognitivi contro le minacce. Significa trasferire capacità di autodeterminazione e resilienza, sottraendosi alla neutralità tecnologica che rischia di consegnarci passivamente a chi detta regole e piattaforme.
Una generazione potenzialmente vulnerabile
Il deficit demografico italiano aggiunge un ulteriore livello di vulnerabilità strategica. Meno giovani, meno capacità di innovare, meno imprenditorialità in un momento in cui la competizione per talento e capacità mentale diventa feroce. Se davvero vogliamo evitare la “trappola della stagnazione”, dobbiamo investire – oltre che su infrastrutture di difesa – su formazione, ricerca, educazione continua.
In un contesto europeo che sta ridefinendo la propria autonomia, l’Italia potrà giocare un ruolo strategico solo consolidando una cultura nazionale dell’intelligenza critica e digitale. Un tessuto in cui scuola, università, imprese, media e istituzioni operano in sinergia per offrire programmi scolastici aggiornati, iniziative di lifelong learning, supporto alla cittadinanza digitale responsabile. L’educazione diventa così un atto politico, l’unico in grado di coniugare democrazia, innovazione e sovranità. Se osserveremo l’AI e la formazione attraverso questa lente potremo trasformare una generazione potenzialmente vulnerabile in un substrato robusto di competitività cognitiva, capace di difendere l’Italia nel nuovo scenario globale.
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