Jazowska (Ecfr): “In Europa dell’Est la guerra è ibrida ma è guerra. La risposta della Nato deve essere dura. Trump? C’è chi dice ‘aspettiamoci il peggio'”

Le elezioni in Moldavia sono fresche di spoglio delle schede, ma – secondo Marta Prochwicz Jazowska del desk polacco dello European Council of Foreign Relation (Ecfr) – la vittoria della coalizione europeista non abbassa il livello di allerta.

Partiamo appunto dalla Moldavia. Cosa emerge da queste lezioni?
«È un risultato rassicurante per l’Europa, in un momento difficile. Le ingerenze russe erano temute. Ma il Paese ha saputo gestire in maniera democratica il voto e soprattutto contenere la deriva populista».

È una prima sconfitta per Putin?
«Difficile da dire. Mosca si sente in guerra con l’Europa. Ma noi non siamo in guerra con la Russia. D’altra parte, la percezione della crisi è differente da Paese e Paese. Qui, in Polonia, pur consapevoli delle minacce in corso, non ci consideriamo né in guerra né in pace. In termini giuridici, non lo siamo. Facciamo parte della Nato. E nemmeno lei è in guerra. Poi però c’è tutta una zona grigia che porta a dire che, sì, la Polonia è in guerra con la Russia».

Le manifestazioni di una guerra convenzionale sono di là da venire. E per fortuna!
«È una guerra di disinformazione. Tuttavia, l’aumento delle spese militari, al 5% del Pil del governo polacco, indicano che ci stiamo preparando a un’escalation. Il conflitto asimmetrico potrebbe trasformarsi in cinetico».

Con quanti partner europei, la Polonia si sente di condividere questa condizione?
«D’altra parte, è una questione che va oltre le sfere della politica e della sicurezza. L’intervento degli F-35 olandesi e degli Awacs della vostra Aeronautica militare contro i droni russi dimostra che la Nato c’è. I sondaggi condotti dall’Ecfr rilevano il timore di una vera e propria terza guerra mondiale presso l’opinione pubblica dei nostri Paesi. Da voi non è così».

Cosa potrebbe convincerci del pericolo?
«Ogni singolo Paese è soggetto a fratture interne. Il bicchiere è mezzo pieno, però. Per esempio, c’è stato già un cambiamento della mentalità europea. Lo si è visto al summit dell’Aja a giugno scorso, che ha portato all’incremento delle spese per la sicurezza. Questo può incidere sulla popolazione civile. L’Italia e la Spagna potrebbero non essere mai colpite direttamente, ma ne risentirebbero in termini economici. Credo che sia arrivata l’ora, per tutta l’Ue, di lavorare sulla preparazione civile».

Restando sul versante operativo, e avendo a mente l’Articolo 4, la Nato come si sta muovendo?
«La reazione dell’Alleanza all’incursione dei droni in Polonia è stata rapida. In futuro però, servirà una risposta più decisa».

Ovvero?
«Caccia e droni vanno abbattuti. Come ha fatto la Turchia ancora nel 2015, che ha abbattuto un aereo russo nel suo spazio aereo. Da allora Mosca non ha più rischiato».

In Polonia, la crisi dei droni è riuscita ad alleggerire le frizioni tra il presidente sovranista Nawrocki e il premier Tusk, invece filo-Ue?
«Per circa 24 ore. Non di più. Poi la coabitazione è tornata difficile. Certo, la nostra Carta costituzionale non aiuta. Le mansioni di politica estera e di sicurezza sono distribuite tra presidente e premier. Mi viene in mente la vecchia battuta di Kissinger, sugli Usa che non sanno chi chiamare quando vogliono parlare con l’Ue. A Varsavia è lo stesso».

È un conflitto istituzionale che si può superare o no?
«Forse. Ma non con questo presidente. Anzi. Le azioni di disturbo di Nawrowski su Rusk si sono intensificate e rendono difficile anche la gestione della crisi in Ucraina».

In che misura?
«Sul sostegno all’Ucraina contro la Russia, Nawrowski e Tusk sono d’accordo. Sono i risvolti interni a dividerli. Sull’accoglienza dei profughi e sulla concorrenza commerciale, sleale agli occhi dei polacchi, dei prodotti agricoli ucraini in ingresso in Europa, Nawrowski ha delle posizioni ostili».

Gli Usa non possono mediare?
«Gli Stati Uniti restano un’incognita. Le nostre relazioni con loro sono garantite dalle continue forniture militari, Gnl e ora dal nucleare. Tuttavia, mentre gli elettori conservatori esprimono cieca fiducia in Donald Trump, non fanno altrettanto quelli più liberali. Questo si proietta sulla classe dirigente. Nawrocki si fida di Trump. Tusk e la sua Coalizione Civica non dimenticano i suoi voltafaccia anche verso gli alleati più stretti. Quindi, alle sue assicurazioni di non ritirare le truppe dalla Polonia, o perfino di aumentarle, c’è chi dice “aspettiamoci il peggio”».