La comunicazione di De Luca: tra Napoli, l’ecatombe e “il rito mistico” in Cilento

Napoli e la fascia costiera con la densità abitativa tra le più alte d’Europa. Il primo focolaio in Cilento. Il rischio dell’ecatombe. E la consapevolezza che, passata l’ondata, in Campania prima o poi si voterà. La seconda parte del capitolo su De Luca (Parte IParte III) nel mio libro “Virus, comunicazione e politica” (Aracne, 2021), con i dati di Data Media Hub.

Abbiamo fatto cenno al prezioso vantaggio – un mese di tempo – di cui la Campania, e il Meridione in generale, hanno potuto beneficiare. Mentre Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna vengono tristemente massacrate dalla spietatezza del virus, le regioni del Centro-Sud sono ancora sostanzialmente immacolate. Il primo caso campano si registra un paio di settimane dopo quell’ormai celebre incontro di neo-catecumenali cilentani, avvenuto il 28 febbraio, che De Luca, con il suo fare a metà tra l’ironico e lo sprezzante, stigmatizza a più riprese battezzandolo con la definizione «il rito mistico» (lo chiamerà sempre così). Dunque, a metà marzo si registra il primo focolaio e le prime, drastiche decisioni del governatore (poi reiterate ad Ariano Irpino e a Letino), che chiude i paesi. In questi provvedimenti c’è un po’ il senso di tutto. C’è il senso della responsabilità, certamente. Non va dimenticato che, come tutti, anche i governatori lottano contro qualcosa che non conoscono, per cui ne avvertono il peso. C’è il senso politico, perché decisioni di questo tipo restituiscono con immediatezza la strada intrapresa nel voler combattere questa guerra. E c’è il senso comunicativo. Quella di De Luca è una strategia piuttosto chiara, da questo punto di vista. Il suo obiettivo è, da un lato, far capire alla sua popolazione che il pericolo non è solo in tv e negli ospedali del remoto Nord Italia. Dall’altro, inutile nasconderlo, si riscontra la volontà di preparare il terreno per «passare all’incasso» al momento opportuno.

Per tutto il tempo dell’emergenza – e per la verità anche a emergenza terminata -, in tv o nelle dirette Fb De Luca parla sempre alla stessa maniera. Con uno schema particolare, che è difficile da riscontrare tra i politici: all’interno di un singolo discorso, non espone mai (o quasi mai) per due volte lo stesso concetto, che invece ripete come un mantra in ognuno dei suoi interventi. D’altra parte, come scrive anche Cacciotto, «una buona regola è limitarsi a tre issues (argomenti) e ripeterle in ogni occasione». Ecco un esempio: «Abbiamo la fascia costiera e la città metropolitana di Napoli con la densità abitativa più alta d’Italia e tra le più alte d’Europa. Se perdiamo il controllo qui, sarà l’ecatombe». Potrebbe sceglierne tante altre, sceglie invece la parola «ecatombe». E non la cambia mai. Una ragione c’è, e sta probabilmente nella rappresentazione plastica che un termine evoca nell’immaginario di chi lo ascolta o lo legge. Si tratta di un lemma derivante dal Greco: hekatòn (cento), bôus (bue), con riferimento al sacrificio di cento buoi. Ma in molti non lo sanno, e si soffermano sulle ultime lettere (-tombe), del tutto evocative di una fine nefasta, tragica. «Disastro», «calamità», «sciagura», non avrebbero certamente lo stesso effetto. Da grande letterato quale è (laureato in Storia e Filosofia), De Luca conosce l’effetto delle parole sull’uditorio, così come certamente conosce la «Psicologia delle folle» , celebre opera di Gustave Le Bon. Scrive Le Bon che «per influsso della folla, la personalità cosciente svanisce, e l’individuo si ritrova sottoposto alla persuasione e alla suggestionabilità inconsce».

Certamente non vuol dire che il governatore faccia leva sul sentimento della paura, che pure in politica è sovente utilizzato. Tuttavia, il suo parlare schietto e (quasi) sempre fuor di metafora – pure quando c’è da dire che «anche dopo il vaccino cambierà tutto e il pericolo di contagio diventerà uno dei pericoli incombenti sulle società contemporanee», o ancora che «questa malattia è grave, questo contagio è grave, non è una cosa banale. Vi voglio dire che tutti quelli che sono stati contagiati e hanno superato la malattia, ci dicono che hanno avuto paura, hanno visto la morte con gli occhi, perché così è stato» – viene spesso e volentieri scambiato per volontà di inoculare il germe della paura. Eppure, come sulla scia di Le Bon sosteneva invece Park, c’è una distinzione tra folla e pubblico: la prima è segnata dall’unità dell’esperienza emotiva, il secondo dall’opposizione e dal discorso razionale. È fondamentale ricordare che nel periodo considerato non possiamo riferirci a folle «in presenza», ma a un’utenza, per quanto vasta, composta da singoli individui che seguono una diretta o leggono un articolo davanti a uno schermo, e che possono essere influenzati solo da dati (numero di visualizzazioni) e commenti (in larghissima parte positivi). Piuttosto, ciò che possiamo considerare è l’approccio di chi ascolta o di chi legge, che va per gran parte in quella direzione: verso, cioè, sentimenti di angoscia e paura. Ciò conduce a una quasi smodata e incontrollata necessità di reperire informazioni.

La comunicazione politica si affianca alla comunicazione istituzionale

Come accade a livello centrale per Conte, anche le istituzioni locali diventano riferimento informativo. Ciò è vero, oltre che per la ragione appena citata, anche per la larga autonomia decisionale di cui in questa fase storica godono le Regioni (da cui, non va dimenticato, dipendono le Asl e dunque la sanità). Ma anche perché i cittadini hanno un’altra paura: quella di incappare in una bufala. Soprattutto nelle prime fasi della pandemia, i fabbricatori di fake news sono letteralmente scatenati: prende vita il fenomeno della cosiddetta infodemia. Il lavoro costante e serrato fatto a livello istituzionale e di repressione di fonti fasulle da associazioni quali PA Social, però, ha saputo educare i cittadini ad attingere notizie soltanto a fonti altamente qualificate . Su questo rimandiamo al contributo di Francesco Di Costanzo, presidente proprio di PA Social. Questa breve parentesi ci è utile per ribadire un concetto già messo sul tavolo. Per le istituzioni, l’emergenza ha significato un affiancamento/sovrapposizione della comunicazione istituzionale a quella politica. Se per Conte abbiamo parlato di sovrapposizione, per De Luca parliamo di affiancamento. Il governatore, anzitutto, non commette l’errore degli account. Le sue dirette del venerdì, che in un niente diventano un appuntamento superatteso, vengono trasmesse dalla pagina istituzionale della Regione Campania e dalla sua pagina personale.

Unendo questi elementi – genuinità, linguaggio, appuntamento fisso, attesa, engagement – come puntini di un disegno, riesce senza particolari problemi a porsi al centro della scena politica. Come accade per Conte a Roma, in Campania (e anche fuori, come detto), è lui a dettare l’agenda. È bene però approfondire anche un ulteriore elemento soltanto accennato: la consiliatura in Regione Campania è scaduta nel mese di maggio. Le elezioni sono state rinviate. Che De Luca non abbia mai pensato che la gestione dell’emergenza Covid avrebbe avuto risvolti sull’appuntamento con le urne sembra fantascienza. In questo senso, nei suoi monologhi si scorgono alcuni tratti di comunicazione elettorale piuttosto che di comunicazione politica. In particolare, si può ricondurre a questo il suo tono solenne, grave e drammatico, tipico proprio dei discorsi da campagna elettorale. Probabilmente (e legittimamente), ci stava pensando da tempo. In un anno, dal marzo 2019 al marzo 2020, ha infatti investito oltre 50mila euro in inserzioni pubblicitarie su Fb. Investe l’80% di quella cifra, precisamente 41mila euro, in quattro settimane (23 febbraio-23 marzo), come si evince dal grafico di DataMediaHub. Nella settimana 18-24 marzo, invece, la cifra è proporzionalmente molto più contenuta: 1.900€.

Investimenti che producono dati di rilievo e confermati dall’Interaction rate, che per De Luca si assesta a poco più dell’1,5%, come da infografica di DataMediaHub.

 

Quanta visibilità per il governatore della Campania. E, in parallelo, quanta popolarità. E a proposito di visibilità e di popolarità, la rete offre una serie infinita di modalità. Complice il periodo di «nullafacenza», in tanti si divertono a immaginare il governatore nei panni di molti protagonisti della storia o del cinema, come mostrano i meme qui di seguito.

Nonostante la lunghissima militanza partitica (è un prodotto della cantera del Pci) e la lunga esperienza politica (il debutto da consigliere comunale a Salerno risale al 1990), De Luca cerca di presentarsi quasi come homo novus. Fatta eccezione per Salvini, a cui associa sempre l’incredibile produzione della «fabbrica di tweet» , il governatore attiva questo processo mentale non in maniera diretta, piuttosto includendo non meglio specificati avversari nella formula «politica politicante», che in Italiano stretto indica la politica dei politici di professione. «Quei pochi scienziati e persone competenti, che hanno dato indicazioni di merito, rischiano di essere travolti dalla ripresa del chiacchierificio nazionale».

«Un impegno oggettivamente gravoso, che però porta i suoi frutti. Prima i suoi video si attestavano su alcune centinaia di migliaia di visualizzazioni. Da alcune settimane sfondano regolarmente il milione, con il picco, una settimana fa, di 2,3 milioni. Numeri enormi per un presidente di Regione, se si considera che, in piena emergenza, tra i video del collega Fontana – che amministra quattro milioni di abitanti in più – quello di maggiore successo raggiunge 1,2 milioni di visualizzazioni. Insomma, De Luca, le dirette Fb e la cifra spesa ci dicono che pure il governatore si è messo a giocare al gioco del più popolare. Comunicare sul Covid-19 istituzionalmente, da presidente, è doveroso, ma abbiamo visto come spesso e volentieri i suoi discorsi prendano anche pieghe politiche. Perché non sappiamo se e quando “andrà tutto bene”, ma sappiamo che, dopo quest’emergenza, in Campania prima o poi si voterà per le regionali».