L'analisi
De Luca e la carica delle 101 espressioni dettate dalla “fame bulimica” di nemici
«Collega Ciarambino, io sono uomo di pace e perfino d’amore e non sono la carogna che mi descrivono!». E ancora: «Sono la carogna di sempre!». Parole di Vincenzo De Luca. La prima frase risale al 29 gennaio 2016, estrapolata dall’intervento di replica tenuto in Consiglio regionale sulla discussione della mozione di sfiducia. La seconda cinque anni più tardi, il 20 settembre 2021, estratta dal discorso tenuto a Salerno durante l’inaugurazione di piazza Libertà. Cosa emerge? Mancanza di coerenza, opportunismo.
Ma i cittadini, purtroppo, dimenticano in fretta. Fanno pochi raffronti, si interrogano poco. Sovente quello che un politico dice arriva meno del «come» lo dice. Del linguaggio forte, De Luca, ha fatto la sua bandiera. Esternazioni che sono arrivate al limite del caricaturale. Il pretesto per un’analisi lo offre Domenico Giordano, spin doctor e consulente di comunicazione politica, nel suo «Sono un uomo di pace e perfino d’amore – piccolo ma essenziale dizionario del deluchismo», edito da Graus. Già, il «deluchismo» esiste e parte proprio dalle parole, uno strumento che viene usato in maniera mirata. Per l’autore il «deluchismo» identifica quella forma di gestione del potere che sconfina in un «autoritarismo pop», contrassegnato da un vocabolario «incarognito e mai convenzionale», che utilizza il registro dell’iperbole e del sarcasmo per guadagnare l’attenzione del pubblico, deresponsabilizzandosi dalle possibili conseguenze di una violenza verbale e presentandosi come l’unico rottamatore della casta politica, «più dei vari Renzi, Berlusconi e del carrozzone pentastellato che ha vanamente provato ad aprire le scatolette di tonno della politica italiana», scrive Giordano analizzando 101 singolari espressioni del governatore, da «babbarie» alle «zeppole al coronavirus», passando per «fratacchione», il «lanciafiamme», «Wandaosiri».
Un rottamatore, un demolitore ma «scordarello», De Luca, uno dei politici di professione più longevi del proscenio nazionale. «Chi non è con me, è contro di me» è una famosa frase tratta dal Vangelo secondo Luca. Ma anche secondo De Luca. Nel suo ironico pamphlet, Giordano parla di una capacità innata di ricerca e costruzione degli avversari secondo quella costante immarcescibile del funzionamento della politica che è la coppia «amico-nemico». E dunque, quando lo ostenta, il suo è un buonismo di facciata necessario, politicamente parlando, per conservare sempre vivo quel fronte ampio di avversari occasionali o di lungo corso che rappresentano ciò che Peppino De Filippo o Nino Taranto sono stati per Totò: una spalla ideale, come si legge nella prefazione.
Un esempio su tutti è un’uscita del maggio 2018 sull’allora sindaco de Magistris: «Gliel’ho detto ieri, nell’ultima dichiarazione, il fatto che non tiene soldi è diventato un titolo di merito, ma tu sei una chiavica! Queste sono cose da pazzi». «De Luca si inscrive nella categoria di politici contemporanei che sono tutt’uno con la loro comunicazione», scrive Giordano. Fonde nell’alto forno della comunicazione la forma e la sostanza del proprio agire politico e lo abbiamo sperimentato durante i ventiquattro mesi di emergenza pandemica. Sin dai primissimi giorni, infatti, l’emergenza sanitaria e le continue incertezze generate sulle misure da adottare, hanno creato le condizioni di una tempesta perfetta che Vincenzo De Luca ha sfruttato a piene mani. Negli ultimi due anni «lo sceriffo» non ha avuto più bisogno di piazzare lungo il sentiero le tagliole per catturare i nemici, il Covid gli ha portato in dote una messe così copiosa di avversari con i quali incrociare i guantoni da avere l’imbarazzo della scelta.
Ha enfatizzato il ruolo di padre premuroso e severo, quello di custode del futuro della comunità contro gli incapaci e gli inetti, l’uomo del fare e delle regole chiare contro le chiacchiere. «In altre parole, – scrive nella prefazione Massimiliano Panarari – si potrebbe dire che la pandemia è stata per Vincenzo De Luca ciò che fu la prima crociata per Goffredo di Buglione, l’occasione irripetibile per segnare in modo indelebile il suo nome nella storia», «ha da solo combattuto gli infedeli della mascherina e dei divieti di uscire in strada». Poi la pandemia è finita e con essa lo stato di emergenza sanitaria nazionale. Ed è arrivato il tempo di rigenerarsi nuovamente e fare i conti con la sua fame bulimica di nemici, di vittime consapevoli o del tutto ignare delle colpe che vengono loro addossate, da inserire nel tritacarne della sua narrazione del fare adesso, subito e a prescindere.
© Riproduzione riservata