Come spesso accade, Napoli e la sua provincia diventano il centro della politica nazionale. È soprattutto nella nostra città che sono nati i primi meetup dei 5 Stelle, con Roberto Fico nel capoluogo e Luigi Di Maio e Valeria Ciarambino in provincia. A Quarto, abbiamo avuto tra le prime Giunte guidate da un Sindaco grillino della penisola, Rosa Capuozzo, una vicenda incredibile, con il primo cittadino che si è dovuta dimettere per una delicata vicenda giudiziaria e che si è poi candidata nelle liste della Lega.

A Napoli, con l’aperto sostegno dei 5 stelle alle Europee del 2010, nacque l’effimero “astro” di de Magistris, da quell’humus la sua decennale amministrazione della città (2011- 2021). Anche nei confronti della giunta arancione i grillini hanno avuto un comportamento strabico, con il consigliere comunale Matteo Brambilla che ha condotto un’opposizione durissima e intransigente e l’area Fico appiattita sul sindaco, al punto da indicare la ex consigliere Francesca Menna (che pure aveva firmato la sfiducia al primo cittadino) nel ruolo di assessore, una babele di linguaggi, un vero e proprio pasticcio, non c’ è che dire. La nostra è stata la prima grande città dove si è realizzata una Giunta 5 Stelle-Centrosinistra (più tanto ex centrodestra, in realtà) non è casuale che nessuno degli attuali consiglieri comunali 5 stelle provenga da quella storia, a cominciare dall’ex assessore Dema, Ciro Borriello, già Verde e S.E.L.

Proprio qualche settimana prima del voto a Napoli vi fu una partecipatissima riunione dei meetup del movimento che, a larghissima maggioranza, scelse orgogliosamente la linea di non allearsi alle vicine elezioni per il sindaco e il rinnovo del consiglio comunale. Un colpo di mano di Fico e Di Maio rovesciò tutto. Anche in Regione si è passati, nel volgere di un mattino, dalle denunce sul sistema De Luca alle intese istituzionali con la Ciarambino prima derisa e offesa, poi eletta con tutti gli onori Vicepresidente del Consiglio Regionale. Si è distinta per la sua fiera opposizione la consigliera Mari Muscarà, fino a uscire dal gruppo. Troppe radicali inversioni, troppe macroscopiche operazioni trasformistiche sulla testa di militanti e attivisti sinceri perché non deflagrasse tutto.

Ciò al netto delle convulsioni nella strategia nazionale del Movimento. All’inizio un orgoglioso isolamento, poi il Conte 1 con Salvini, poi il Conte 2 con il Pd e Leu, infine il governo Draghi, con tutti dentro, tranne la Meloni. Si considerino poi tutte le parole d’ordine identitarie riposte in un cassetto: dal limite dei due mandati, all’uno vale uno, alla chiusura alla vecchia politica, al No Tav, No Triv, a un radicale e intransigente ambientalismo ed ecologismo, all’assoluta fede nelle virtù salvifiche della cosiddetta società civile, fino all’appiattimento sul partito delle Procure (che si è dovuto decisamente attenuare al cospetto dell’impianto garantista imposto dal progetto di Riforma della Giustizia del Ministro Cartabia), il tutto davvero indigesto anche per gli stomaci più forti.

Così un gruppo di militanti napoletani, facendo leva sulle irregolarità e sulle distorsioni presenti nelle procedure adottate, sostenuto da agguerriti avvocati, riesce a far annullare le due delibere che hanno portato all’elezione di Conte a leader dei grillini, tutto ciò in un momento già drammatico, con tutti i sondaggi in picchiata. E così Napoli che è stata la culla dei 5 Stelle… ora rischia seriamente di diventarne la tomba.